Com’è stato per milioni di lavoratori italiani lavorare in smart working in questi ultimi mesi, quali gli aspetti positivi o problematici in termini di benessere fisico, sociale e psicologico, quali le resistenze culturali o le inedite aperture attivate, in quali situazioni il lavoro agile funziona e dove delude? Oggi, che la sfida dell’innovazione è stata accolta anche dal nostro Paese, servono riscontri precisi.
Così, è direttamente ai lavoratori, sia pubblici sia privati, che sono stati posti i quesiti e sono le loro risposte a dare un senso di novità all’”Indagine nazionale sullo smart working 2020: capire il presente per progettare il futuro”. Promossa dall’associazione datoriale Cifa, dal sindacato Confsal e dal fondo interprofessionale Fonarcom e realizzata dal Centro studi InContra, nell’ambito dell’iniziativa #IlLavoroContinua, la ricerca verrà presentata domani 24 giugno, alle ore 14,30, sulla piattaforma www.illavorocontinua.it.
In definitiva, i risultati sembrano confermare il fatto che lo smart working ha davvero aperto non solo a un percorso di trasformazione organizzativa ma anche a un nuovo modo di lavorare basato sulla fiducia e sulla collaborazione. Ne deriva che favorire flessibilità, responsabilizzazione e autonomia significa favorisce anche una trasformazione del lavoratore, non più “dipendente” – cioè valutato in base al tempo di lavoro svolto – ma “professionista”, e quindi valutato in base ai risultati ottenuti. Ai lavoratori, dice l’indagine, questa svolta piace.
A discutere di tutto questo domani saranno: Andrea Cafà, presidente di CIFA e di FonARCom; Salvatore Vigorini, consulente del Lavoro e presidente Centro studi InContra; Cesare Damiano, componente Cda INAIL; Rosario De Luca, presidente Fondazione studi Consulenti del Lavoro; Vincenzo Silvestri, presidente Fondazione Consulenti per il Lavoro; Angelo Raffaele Margiotta, segretario generale Confsal.