Noi donne non siamo mai innocenti. ‘Se non vogliono essere stuprate devono smetterla di vestirsi da poco di buono’: questa ed altre frasi si sentono rivolgere le vittime di stupro quando denunciano”. E' un monologo duro e toccante quello di Rula Jebreal, che mette un punto a qualsiasi polemica – o anche solo all'ombra di essa – che ne hanno preceduto la partecipazione alla kermesse di Sanremo fermando l'orologio dell'Ariston poco prima della mezzanotte, richiamando l'attenzione sul tema della violenza, morale, fisica e psicologica, di cui troppe volte le donne sono vittime: “Negli ultimi due anni in media 88 donne al giorno hanno subito violenza, una ogni 15 minuti. Nell′80% dei casi il carnefice non deve bussare alla porta perché ha le chiavi di casa”.
Le chiavi di casa
Commuove e si commuove Rula Jebreal, perché quelle storie che denuncia riguardano anche lei e la sua infanzia, segnata in modo indelebile da eventi che vanno al di là della comprensione di una bambina: “Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine: la sera ci raccontavamo le nostre storie tristi, che toglievano il sonno. Erano le storie delle nostre mamme: stuprate, uccise… Mia madre ha perso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni: si è suicidata, dandosi fuoco. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato il luogo della sua tortura. Brutalizzata e stuprata due volte a 13 anni da un uomo e poi da un sistema che non le ha consentito di denunciare. L’uomo che l’ha violentata, per anni aveva le chiavi di casa”.
Essere musica
Stuprata due volte, dice Rula, e non solo fisicamente. Perché “le ferite sanguinano molto di più quando nessuno ti crede… Questo è il momento che le parole diventino realtà. Per farlo dobbiamo lottare e urlare da ogni palco, anche quando ci diranno che non è opportuno. Io sono diventata la donna che sono grazie a mia madre e a mia figlia, che è seduta lì tra di voi. Io amo le parole, ho imparato, venendo da un luogo di guerra, a credere alle parole per rendere il mondo un posto migliore”. Un messaggio che scuote le coscienze e scivola oltre le porte dell'Ariston: “Domani chiedetevi come erano vestite le conduttrici di Sanremo. Ma non chiedetevi mai più com’era vestita una donna vittima di stupro. Nessuno ci tolga più il diritto di addormentarci con una favola. Noi donne non dobbiamo più avere paura, noi donne vogliamo essere libere nello spazio e nel tempo, essere silenzio e rumore e musica”. Si chiude con una standing ovation ma, soprattutto, con una lezione di cui far tesoro.