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San Salvador, bus in burrone: 11 morti e 25 feriti

Tragedia lungo le strade di El Salvador, piccolo Stato dell'America centrale affacciato sull'oceano Pacifico. Undici persone sono morte e altre 25 sono rimaste ferite dopo un autobus su cui viaggiavano i turisti è finito in un burrone. L'incidente è avvenuto domenica 16 febbraio vicino al villaggio di Chiltiupan, a circa 55 km a sud-ovest della capitale San Salvador, mentre percorreva la Route 261, arteria di collegamento tra Sansonate e La Perla, una strada nota per la sua pericolosità: l’arteria è infatti costellata di curve e voragini. Il bus è finito in un precipizio nel cantone di Las Flores, a Chiltiupàn. I passeggeri a bordo del mezzo turistico erano stati in visita ad El Salvador e al momento dell’incidente stavano facendo rientro a casa. I dati sul numero delle vittime sono ancora discordanti, ma è certo che almeno 6 persone abbiano perso la vita nell’incidente, come confermato anche dalla Croce Rossa locale. I feriti sarebbero oltre una ventina. Tra loro anche diversi minori, trasferiti all’ospedale di San Rafael e all’unità sanitaria di Puerto de La Libertad. Ancora da accertare cause e dinamica del drammatico incidente avvenuto nella serata di ieri. Secondo le prime ipotesi, pare che il conducente del mezzo procedesse a velocità elevata.

Le “pandillas”

Sabato 15 febbario, alle  ore 21:16 (ora locale) una scossa di terremoto di magnitudo 5 ha fatto tremare la capitale salvadoregna. L'epicentro è stato calcolato nei pressi di Puerto El Triunfo, a pochi chilometri da San Salvador, e l'ipocentro ad profondità stimata di circa 74.54 Km. La scossa non ha provocato danni a cose o persone, essendo particolarmente profonda, ma è stata avvertita distintamete dalla popolazione nel raggio di chilometri. El Salvador, oltre ad essere un Paese molto soggetto a terremoti – se ne sono contati tre in poche settimane – è anche uno dei paesi più violenti al mondo, a causa dei cartelli del narcotraffico – denominati “pandillas” ben radicati e armati. Contro di loro, si è aperta una guerra senza esclusione di colpi. Due domeniche fa, il 9 febbraio scorso, il neo presidente Nayib Bukele è entrato in Parlamento accompagnato dalle forze speciali della polizia e dall’esercito allo scopo di esercitare pressione sui deputati affinché approvino un prestito di 109 milioni di dollari necessari alla lotta intrapresa contro le “pandillas”. La crisi istituzionale – ricostruisce il Sir – era iniziata il venerdì precedente, quando il presidente aveva chiesto all’Assemblea nazionale di approvare il finanziamento concesso dalla Banca centroamericana di integrazione economica. Bukele aveva invocato, facendo riferimento all’articolo 167 della Costituzione, la convocazione urgente dell’Assemblea, ma la Presidenza del Parlamento aveva risposto che non sussistevano i motivi di emergenza nazionale previsti dalla Carta costituzionale. Tre giorni dopo, circondato da agenti di polizia e militari, il neo presidente è entrato nella sede dell’Assemblea legislativa, si è seduto sulla sedia del presidente della Camera e ha ordinato che iniziasse la sessione, sotto copertura – ha detto – di un “diritto divino”. Dopo aver fatto una preghiera, ha lasciato il Parlamento. All'esterno, è stato salutato da centinaia di suoi seguaci.

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