«Una giornata di meditazione, preghiera e digiuno per chiedere con forza un tavolo di dialogo, che porti all’immediato cessate il fuoco». E’ l’iniziativa lanciata per oggi dall’associazione “Papa Giovanni XXIII” di don Oreste Benzi, da sempre nei teatri di guerra e miseria con i suoi volontari, che alle armi rispondono con la loro stessa presenza disarmata, al fianco delle vittime ma anche degli oppressori, che hanno più bisogno di recuperare la loro umanità. Riportiamo l’intervista che Ramonda ha rilasciato oggi a Lucia Bellaspiga di Avvenire.
Giovanni Ramonda, lei è il successore di don Benzi alla guida dell’associazione. Come nasce un’iniziativa che può sembrare utopistica ma non lo è?
Nasce dalla nostra presenza in Ucraina ormai da marzo, con i giovani dell’Operazione Colomba e quelli di altre 160 organizzazioni del mondo civile ed ecclesiale non violento, lì presenti per condividere le sofferenze del popolo ucraino e per attuare l’accoglienza di centinaia di persone nelle famiglie italiane e nelle nostre parrocchie. Stiamo anche costruendo pozzi laddove i bombardamenti hanno azzerato l’acqua potabile… E’ questa presenza che ci spinge a gridare con forza a chi ha la responsabilità politica che occorre immediatamente arrivare a un negoziato, perché di fatto chi subisce in primis è sempre il popolo: il popolo ucraino, ma anche il popolo russo, schiacciato dalle sanzioni. Le armi della non violenza sono la preghiera, il digiuno e la condivisione diretta con chi soffre: questo è Vangelo, questo è dottrina sociale della Chiesa, ma questo è soprattutto intelligenza d’amore, quella intelligenza che ogni uomo di buona volontà sente naturalmente, tant’è che stanno aderendo tantissime organizzazioni e singole persone. Questa giornata di preghiera e digiuno – che prepara le prossime iniziative della rete Europe for Peace cui aderiamo – grida che il dialogo è impellente e va ricercato a tutti i costi, come ripete papa Francesco. Mai, negli ultimi decenni, il rischio che si ricorra alle armi nucleari è stato così concreto, sarebbe la devastazione dell’umanità. Il nostro appello ai responsabili che hanno in mano la possibilità di un dialogo, allora, è di non fare muro contro muro e cercare sinceramente il negoziato, agire per e non contro. Anche se la condanna dell’aggressore e della violenza perpetrata resta fortissima.
Lei parla di intelligenza dell’amore. Si vede invece un’escalation di cecità, come se non fosse chiaro che con la guerra si perde tutti.
L’intelligenza da sola basterebbe a capire che quello che si sta spendendo in armamenti, mandati in fumo in un istante per uccidere e distruggere, andrebbe destinato alla gravissima crisi, prima sanitaria e oggi economica. La guerra quindi è veramente una follia dal punto di vista della logica, è gettare la razionalità nella spazzatura. Nella guerra l’uomo cessa di usare il cervello, c’è un blackout di quella parte nobile del nostro essere che è il pensiero, il confronto, la discussione anche franca, ma per costruire la casa comune che è questa umanità.
Abbiamo da poco celebrato i 100 anni dalla prima guerra mondiale dicendo “mai più”. Ma poi ci ricaschiamo sempre. Non si impara dalla storia?
Ogni etnia, ogni cultura sono un valore stupendo, però non possiamo ergere recinti chiusi a causa delle identità nazionali. Il mondo oggi è interconnesso, abbiamo raggiunto nella tecnologia strumenti che ci trasmettono la ricchezza del sapere altrui, delle esperienze lontane, dei progressi che permettono di alleviare le difficoltà che la vita umana presenta. Ma poi avviene il contrario: questa lotta tra popoli, non solo in Ucraina ma in tante regioni del mondo, dimostra che l’uomo se non sta attento cade in balìa dei propri istinti deteriori, del voler prevalere sull’altro. In questo contesto per chi è credente, ma per tutte le persone di buona volontà, il messaggio evangelico è anche il messaggio di chi nella storia ha agito con azioni non violente – penso a Gandhi, Martin Luther King, in Italia Aldo Capitini –, tutte esperienze che ci fanno dire che la pace è possibile. Ma la pace è frutto della giustizia, per ottenerla bisogna che prima arriviamo a un’equa redistribuzione dei beni della terra, che tutti abbiano una dignità, una casa, una famiglia. Le disuguaglianze sono enormi e vanno colmate, questa è la premessa per la pace.
Ma nel caso dell’aggressione all’Ucraina, come arrivare alla tregua senza dover cedere alle pretese russe? Per molti è un dilemma: la pace è la resa al prepotente?
No, il violento va richiamato fortemente, anche con sanzioni, ma sempre con l’obiettivo di costringerlo a un dialogo. Lo si sta facendo davvero? Chi parla più di negoziato? La parola stessa è sparita. Il rischio è che le sanzioni ergano invece un muro contro muro sempre più invalicabile e con un obiettivo che si allontana dalla pace. Lo scopo delle sanzioni non sono le sanzioni stesse, subite sempre dalla povera gente, ma far confluire un insieme di azioni e di leader che chiedano con determinazione almeno di negoziare! Gli attacchi della Russia vanno condannati assolutamente e il diritto di un popolo a difendersi va riconosciuto, ma che l’uso delle armi non sia la via vincente ce lo insegna la storia con decine di milioni di morti. Anche questa guerra ce lo insegna, perché mentre diciamo che alle armi bisogna rispondere con altre armi, centinaia di migliaia di giovani stanno morendo, russi e ucraini. E’ sotto gli occhi di tutti che la lotta fratricida – in questo caso ancora di più perché le radici sono comuni – porta alla devastazione delle cose e delle persone, non c’è più vita. Nessuno ha la ricetta in tasca, ma analizziamo i risultati: più armi ci sono in campo e più vediamo morte e distruzione. Questa giornata allora è per chiedere al buon Dio che dia sapienza ai governanti, coloro che possono cambiare le sorti per tutta l’umanità.
Voi non siete buonisti da salotto, parlate perché sapete, vedete da vicino, siete sempre in prima persona dove si combatte e si sta male.
Siamo in Libano ai confini con la Siria, in Colombia, in Palestina, ovunque succedano queste tragedie la nostra missione è essere lì con il popolo che soffre e, nel nostro piccolo, anche contattare i capi politici e religiosi per lanciare proposte di riconciliazione sul terreno, concrete. In Terra Santa dialoghiamo con i militari israeliani perché siano attenti alle esigenze dei bambini palestinesi, in Libano siamo dove i profughi siriani arrivano stremati dalla guerra, in Colombia creiamo un ponte con i paramilitari, i nostri giovani parlano con loro: sono vicini agli aggrediti e agli aggressori, che spesso hanno persino più bisogno di una parola illuminante.
In questi mesi abbiamo visto Samantha Cristoforetti e gli astronauti russi, americani ed europei abbracciarsi sulla Stazione spaziale internazionale, con il pianeta Terra sullo sfondo. Qua sotto ci ammazziamo, ma basta sollevarci di poco nell’atmosfera e torniamo intelligenti…
Basta avvicinarci al cielo. Don Oreste diceva che «dobbiamo essere contemplativi di Dio nel mondo» e che «non c’è nessuno più impegnato su questa terra di chi è immerso in Dio». Noi pensiamo che il mondo deve recuperare la ricerca di assoluto, la sete di infinito, partendo ciascuno dalla propria religione, perché c’è una mancanza di senso e un gran bisogno di tornare alle radici profonde dell’umanità, la cui essenza deriva dall’essere tutti figli di un Padre che ci vuole bene, che ci ha dato la vita e il creato, e ci vuole fratelli.