Come vivono il Natale i ragazzi reclusi accolti nelle CEC, le Comunità Educanti con i Carcerati? Interris.it lo ha chiesto a Giorgio Pieri, responsabile CEC dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) fondata dal Servo di Dio don Oreste Benzi.
Don Benzi affermava che: “Nello sbaglio di uno c’è lo sbaglio di tutti. Per recuperare uno è necessario il coinvolgimento di tutti”. Gli operatori e i volontari diventano maestri di vita grazie alla gratuità del loro servizio verso i detenuti. La società può e deve coinvolgersi nel recupero del soggetto che sbaglia: un uomo recuperato non è più pericoloso, mentre la giustizia “vendicativa” produce persone che scelgono di nuovo la via delinquenziale.
Al fine di eliminare le cause che conducono al comportamento deviante, la Comunità promuove un percorso educativo, mirato ed impegnativo, realizzato all’interno di strutture dell’Associazione, che non si basa né sul pietismo né sull’assistenzialismo, ma sulla certezza della pena e soprattutto del recupero. Questo è il CEC, la Comunità Educante con i Carcerati dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.
Pieri: “Il Natale è il periodo dell’anno più difficile”
“Il Natale è uno dei momenti più difficili dell’anno per le persone che sono ristrette”, esordisce Pieri. “Questo è certamente vero in carcere, ma lo è anche in comunità. Perché il Natale rappresenta il momento in cui le persone si incontrano con le proprie famiglie, tra parenti. I ragazzi vedono e sentano il clima di festa che si percepisce nell’aria e quindi vedono la festa fuori di loro ma nei loro cuori c’è tristezza. Il Natale è dunque un momento oggettivamente difficile: noi operatori lo vediamo dai loro visi, lo percepiamo dai loro sguardi”.
“Ciò premesso, e proprio perché è un periodo difficile per loro, come membri della Comunità Papa Giovanni XXIII cerchiamo di consolare queste persone che vivono in solitudine. Il CEC è un progetto per la rieducazioni dei detenuti (noi li chiamiamo ‘recuperandi‘) che offre loro un percorso educativo in una dimensione di casa e di famiglia secondo la frase di don Benzi ‘l’uomo non è il suo errore’“.
“Questo è molto importante. Lo Stato sceglie di far pagare il colpevole di reato attraverso l’isolamento, chiudendolo in carcere, e quindi la solitudine gli entra dentro ed è difficile da cancellare. Come comunità combattiamo l’isolamento con il suo esatto contrario: la condivisione diretta, come insegnatoci dal nostro fondatore”.
“La condivisione diretta è anche vivere insieme questi momenti tristi, quando manca la famiglia di origine. Parliamo di persone ristrette che hanno vissuto già grandi sofferenze prima di delinquere: per esempio, accogliamo alcuni ragazzi che dicono di non aver mai festeggiato il Natale in casa propria, o non hanno mai fatto un compleanno o una festa con gli amici. Dunque, parliamo di persone che hanno vissuto dei drammi grandissimi. A volte basta poco per renderli felici!”.
“Per esempio – conclude Pieri – è un grande dono la presenza di volontari accanto agli operatori: persone comuni che scelgono di passare le feste con i ragazzi accolti, magando portando loro anche un piccolo dono. Così è davvero Natale per tutti. Anche per gli ‘ultimi’, gli scarti della società tanto amati da don Oreste”.