Il crack della Silicon Valley Bank (SVB) della scorsa settimana ha bruciato in Europa 291 miliardi di euro in quello che molti analisti hanno definito un “lunedì nero”. In merito, Intrerris.it ha intervistato il professor Ivan Petrella, economista e professore di politica economica e previsioni alla Warwick Business School.
L’intervista al professor Petrella
Professore, a cosa è dovuto il fallimento della Silicon Valley Bank?
“E’ dovuto ad un problema classico dell’economia bancaria: il cosiddetto Bank Run, che in italiano chiameremmo ‘corsa agli sportelli’. Se tutti i clienti ritirano in contemporanea i propri depositi, la Banca non è in grado di soddisfare tutti: nessuna banca tiene infatti così tanta liquidità da poter fronteggiare un assalto generalizzato agli sportelli. In pratica, è quello che è successo alla SVB la scorsa settimana. I depositi sono comunque assicurati dal Governo Usa entro la soglia dei 250mila dollari. Dunque, il Bank Run è coperto almeno in parte”.
Perché i clienti sono corsi agli sportelli a ritirare i soldi depositati?
“E’ un situazione particolare. La SVB è una banca specializzata regionalmente come prestatore soprattutto ad aziende della Silicon Valley che si occupano prevalentemente di Tech. Questo tipo di aziende non hanno entrate o uscite anche per molto tempo: vivono di fondi e sovvenzioni al fine di far crescere abbastanza l’azienda per poi partire. In banca tengono dunque depositi consistenti. Negli anni del Covid-19, la SVB ha attratto molti depositi e li ha investiti in parte nei bond del governo Usa, vale a dire l’equivalente dei nostri titoli azionari. Ne ha investito circa il 30%. I bond non sono titoli rischiosi”.
“Ma dopo un primo momento in cui la ripresa dell’inflazione era stata giudicata un fenomeno transitorio, la FED (la banca centrale degli Stati Uniti) ha cambiato radicalmente il suo giudizio, optando per un deciso riorientamento in senso restrittivo della politica monetaria. Il valore dei vecchi bond governativi è così sceso in modo consistente. La SVB, a causa dei bond, si è trovata ad avere – almeno sulla carta – una perdita in bilancio. Ma non si tratterebbe di una perdita reale: perché fin quando non si vanno a rivendere, questi titoli hanno sempre un valore. Purtroppo, si è sparsa la voce del problema e nel giro di una settimana c’è stato il ‘fuggi fuggi’ generale: il tanto temuto Bank Run appunto. Non c’è stato neppure il tempo di ricapitalizzare i titoli, che la maggior parte delle aziende ha richiesto indietro i soldi mandando la banca in crack”.
C’è il rischio di una nuova crisi finanziaria globale come fu per la Lehman Brothers nel 2008?
“Non credo. Questo perché la Lehman era una banca centrale per tutto il sistema finanziario, mentre la SVB era specializzata nelle startup ed era la 16esima banca statunitense per dimensioni di asset. Grande, ma non grandissima, e per di più localizzata in una zona precisa. Questo crack mette certamente in evidenza che ci sono problemi nel sistema finanziario, ma non credo sia abbastanza grave da poter scatenare una crisi economica globale come quella del 2008. Crea però incertezza. Penso si sia sottovalutato il costo per il sistema finanziario di un cambiamento della politica monetaria così repentino da parte della FED. Ma non credo che il sistema finanziario a livello globale sia a rischio”.
Quali ripercussioni aspettarsi nel breve periodo per i mercati europei?
“In generale per il settore finanziario ci sarà un po’ più di incertezza. Nei prossimi mesi ci sarà un po’ più di tensione e probabilmente ci sarà una stretta creditizia. Purtroppo, proprio nel momento più sbagliato”.
Cosa faranno ora le Banche Centrali?
“Le banche centrali avevano alzato i tassi di interesse per contrastare l’inflazione. Ma ora, con questa incertezza nel sistema finanziario, penso che ci sia spazio per una piccola pausa che servirà per valutare quali siano le criticità sul percorso delle banche centrali per riportare l’inflazione sul target. Questa pausa potrebbe dare respiro al sistema bancario in generale e in particolare a quello europeo”.