Mattarella ricorda Bachelet: “Uomo del dialogo e della coerenza”

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per l’intitolazione a Vittorio Bachelet della sede del Consiglio Superiore della Magistraturasione (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto alla cerimonia per l’intitolazione a Vittorio Bachelet della sede del Consiglio Superiore della Magistratura.

Il giurista è stato ricordato dal Vice Presidente del CSM, Fabio Pinelli, da Marta Cartabia, Presidente emerita della Corte costituzionale, e dal figlio Giovanni Bachelet.

Al termine è stato scoperto l’altorilievo bronzeo, realizzato dallo scultore Giuseppe Ducrot. La cerimonia si è conclusa con l’intervento del Presidente Mattarella, che riportiamo integralmente.

Il messaggio di Mattarella

Rivolgo un saluto al Presidente del Senato, al Vice Presidente della Corte Costituzionale, al Rappresentante della Camera dei Deputati, ai Ministri, al Vicepresidente e ai Consiglieri del CSM, a coloro che con il Consiglio collaborano, a tutti i presenti. E particolarmente a Giovanni e Maria Grazia Bachelet.

Desidero sottolineare il valore di questa cerimonia, con cui viene intitolata a Vittorio Bachelet la sede del Consiglio Superiore della Magistratura. E ringrazio il Vice Presidente e il Consiglio per questa decisione, assunta per mantener vivo il ricordo del suo servizio nelle istituzioni e per rinnovare la riconoscenza per il suo impegno.

Bachelet, anche quale Vicepresidente del Consiglio Superiore, è stato testimone autentico dei valori della nostra Costituzione. Si adoperava costantemente per la ricerca di prospettive condivise anche in considerazione delle fratture ideologiche che attraversavano il nostro Paese.

Essere “uomo del dialogo” è stata, sin dall’inizio, la caratteristica della sua attività politica e sociale. Già nel 1946, a vent’anni, da studente, dirigente della Fuci, ricercava sempre il confronto dialettico con le altre componenti universitarie in vista della ricostruzione dell’Italia democratica: “Con nessuno dei nostri simili – scriveva – abbiamo il diritto di rifiutarci o di essere pigri nel gettare il ponte”.

Il dialogo è stato sempre un tratto distintivo del suo impegno nella società profuso lungo l’intero arco della sua vita, nelle organizzazioni cattoliche, nell’insegnamento nelle aule dell’università, nel Consiglio superiore della magistratura, in ogni altra attività pubblica. Il dialogo rappresentava per lui, più che un metodo, l’essenza della democrazia.

La difficoltà nella ricerca del confronto

La ricerca del confronto non era strada agevole e, talvolta, da taluno neppure apprezzata, in una stagione tra le più tormentate e conflittuali della storia repubblicana, dove non soltanto le parole e le ideologie si facevano più aspre, ma la violenza delle armi pretendeva di farsi strumento di lotta politica, elevando gruppi criminali a soggetto politico.

In quegli anni drammatici, Vittorio Bachelet esprimeva la convinzione che il rafforzamento delle istituzioni democratiche si realizzasse non attraverso lo scontro, ma con scelte – per quanto possibile condivise – di piena e coerente attuazione dei principi della nostra Costituzione.

La sera prima del brutale assassinio, accompagnando a casa l’amico Achille Ardigò, aveva con lui discusso della minaccia terroristica, giungendo alla conclusione, condivisa, che il terrorismo andasse combattuto senza rinunciare ai principi della legalità democratica, nel rispetto delle regole costituzionali, senza ricorrere all’arbitrio, in quanto la Repubblica dispone delle risorse capaci di far prevalere i valori della Costituzione anche nei momenti più critici.

Bachelet e la “coerenza nei comportamenti”

Bachelet era convinto, inoltre, che la coerenza dei comportamenti fosse un efficace strumento di comunicazione e, in tempi di disorientamento, valesse più di una lezione dalla cattedra. È stata questa esemplare coerenza a segnarne l’impegno, sempre di grande valore, in ogni ambito.

Da Presidente dell’Azione cattolica, aveva vissuto intensamente gli anni del Concilio, le speranze e le aperture verso la società che cambiava e nei confronti di una generazione che sognava una società sempre migliore. È stato protagonista della scelta religiosa di quella organizzazione, che – come ripeteva – non fu mai intesa come una rinuncia, un abbandono dell’impegno pubblico, ma come un ritorno sincero e umile alle origini, una nuova e coinvolgente riproposizione dei valori essenziali.

Una fede “mai ostentata”

Vittorio Bachelet non ha mai ostentato la sua fede, anche se ben nota a tutti, ma l’ha tradotta in un’autentica, laica, testimonianza umana e istituzionale in ogni ruolo in cui è stato chiamato a svolgere funzioni pubbliche di alta responsabilità.

I valori della collaborazione e della lealtà istituzionale erano evidenti nel suo stile di ascolto e nella sua visione autenticamente aperta al confronto, al punto di vista altrui.

Di questo costituisce, in qualche modo, testimonianza anche la votazione che lo portò alla vicepresidenza di questo Consiglio. Bachelet prevalse per un solo voto su Giovanni Conso, ma l’amicizia e la stima tra queste due personalità era alta e tale rimase.

In quel momento della storia repubblicana fu un segno di unità perché, senza rinunciare alle proprie convinzioni, il loro rapporto inalterato assunse un valore cruciale per la salvaguardia di questa istituzione, per il suo funzionamento, la sua credibilità.

Con questo spirito, Vittorio Bachelet ha guidato l’organo di governo autonomo della Magistratura, coniugando fermezza di principi e disponibilità al dialogo nella ricerca di convergenza tra prospettive diverse.

La composizione delle diversità – è ben chiaro a tutti – non si realizza ricorrendo a logiche di scambio, che assicurano l’interesse di singoli o di gruppi. Un metodo del genere rappresenterebbe la negazione del pluralismo democratico, che ispira le nostre istituzioni repubblicane e che Vittorio Bachelet ha sempre promosso.

Nella sua azione era guidato dalla convinzione che, nonostante tutte le difficoltà, fosse possibile ricomporre le divisioni, mettendo da parte gli interessi particolari e recuperando così il senso più alto della politica al servizio delle Istituzioni.

L’intitolazione della sede del CSM a Vittorio Bachelet assume, per questo, un grande significato: richiamare il valore del suo impegno e seguirne l’insegnamento.

Nella logica criminale dei suoi assassini, Bachelet rappresentava le istituzioni che contrastavano con determinazione la violenza terroristica utilizzando soltanto gli strumenti costituzionali e, insieme, esprimeva un profondo senso della comunità e della coesione sociale.

Questi due elementi – la Costituzione e il senso di comunità per la coesione sociale – hanno sempre sconfitto i tentativi di lacerazione della società e di disarticolazione delle sue istituzioni.

Anche con riferimento a questi valori – richiamati dalla figura di Bachelet – il CSM è chiamato all’impegno di contribuire ad assicurare la massima credibilità alla magistratura, con decisioni sempre assunte con senso delle istituzioni. I nostri concittadini chiedono una giustizia trasparente ed efficiente.

La funzione del CSM

Al CSM la Costituzione affida il compito di dare concretezza all’indipendenza della giurisdizione, come valore irrinunciabile della nostra democrazia.

Proprio per questo, il ruolo che si assume quali componenti di questo Consiglio rappresenta una funzione di garanzia e, in ogni momento, di grande responsabilità per l’equilibrio fra i poteri costituzionali.

I componenti del CSM si distinguono soltanto per la loro “provenienza”. Hanno le medesime responsabilità nella gestione della complessa attività consiliare e sono chiamati a svolgere il loro mandato senza doversi preoccupare di ricercare consenso per sé o per altri soggetti.

Laici e togati interpretano – con doverosa piena indipendenza da ogni vincolo – un ruolo fondamentale nel funzionamento del nostro sistema, sempre seguendo, quindi, il dettato costituzionale.

In questa prospettiva sorregge il riferimento alla forza d’animo e al coraggio che contraddistinsero l’azione di Vittorio Bachelet, al fine di superare divisioni e contrapposizioni pregiudiziali, facendo prevalere sempre la ricerca dell’interesse generale.

Fonte: Quirinale

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