“Usare il valore dell’Rt ospedaliero, anziché il classico Rt basato sui casi sintomatici, è un chiaro assist alle Regioni per le riaperture e per scongiurare nuove restrizioni”. A dirlo è Antonello Maruotti, ordinario di statistica della Lumsa di Roma, che, interpellato dalla Dire, è intervenuto sui metodi di valutazione e monitoraggio dell’epidemia usati dall’Istituto superiore di sanità.
In queste settimane di decrescita dell’epidemia c’è stato un calo significativo dell’incidenza dei casi per 100mila abitanti ma anche una risalita dell’Rt, lieve in alcuni casi ma più sensibile in altre Regioni come il Veneto che ora rischia la zona arancione anche se con un’incidenza contenuta.
Diverse altre Regioni rischiano allo stesso modo: perché? Perché i dati, Rt e incidenza, sono in contraddizione e hanno infatti spinto le Regioni a chiedere l’eliminazione dell’Rt dai parametri con cui si decidono aperture e restrizioni?
Rt ospedaliero: un dato che non convince
L’Istituto superiore di sanità ha pensato di sostituire l’Rt con un Rt ospedaliero: ovvero il calcolo dei ricoveri in area medica e in terapia intensiva, retrodatato di 3 giorni.
Un dato però, che non convince: “Come si fa a calcolare il tasso di replicazione e il tempo di generazione di un ricovero? – si domanda retoricamente il professor Maruotti- non si può fare, perché significherebbe considerare il tempo che un ospedalizzato impiega a contagiare un altro ospedalizzato: un non-sense“.
“E che Rt e incidenza sarebbero andati in contrasto – aggiunge – lo sapevamo da diversi mesi, come attestano documenti di studio del ricercatore Silvio Merler della Fondazione Kessler, a cui l’Iss ha affidato l’elaborazione del metodo di calcolo per monitorare l’evoluzione dell’epidemia. In una serie di slide, Merler descrive il problema delle stime di Rt a bassa incidenza – spiega Maruotti – in questo modo: ‘quando l’incidenza e’ bassa, piccole variazioni nel numero di casi possono risultare in rilevanti variazioni di R(t) e grande incertezza statistica’”.
Esattamente quello che sta succedendo ora in diverse Regioni. Da qui nasce l’exit strategy congegnata dall’Iss sull’Rt ospedaliero, anche questo preventivato oltre un anno fa dallo stesso Merler.
“L’instabilità dell’Rt in condizioni come quella che viviamo, é cosa nota e dopo mesi in cui é stato assunto Rt come valore di riferimento, anche se analizza dati di due settimane prima, finalmente siamo arrivati a metterlo in discussione – spiega il professore della Lumsa- il problema però é che Rt ospedaliero, con cui si vuole sostituirlo, é una toppa peggio del buco – osserva criticamente il docente -. Con Rt ospedaliero si assume il numero delle ospedalizzazioni per cui é nota la data di inizio sintomi ma non ha alcuna valenza dal punto di vista epidemiologico, nessuna base scientifica”.
Modello con dati non equiparabili
“Si sta quindi utilizzando un modello con dati non equiparabili, il risultato ottenuto non avrà alcun significato. Peraltro, si ipotizza che il processo di ospedalizzazioni sia indipendente dal numero dei contagi e questo é fuorviante”.
“Questa é una fase in cui dobbiamo provare a ripartire, é comprensibile e giusto. La scelta di usare Rt ospedaliero, che considera il numero degli ingressi nelle aree mediche e nelle terapie intensive per misurare l’evoluzione dell’epidemia, é stata fatta con un’idea precisa – spiega Maruotti – in queste due settimane, se dovessero aumentare i contagi, ad essere più colpiti sarebbero i più giovani, che non finiscono in ospedale. Coloro che invece rischiano maggiormente di finire in area medica o nei reparti di terapia intensiva, sono mano a mano protetti dal vaccino, che riduce ospedalizzazioni e decessi. Si vuole aprire quindi, ma lo si maschera utilizzando la metodologia sbagliata – osserva Maruotti- soprattutto se si lasciano, per l’Rt ospedaliero, le soglie per le ospedalizzazioni che abbiamo avuto fino ad ora”.