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Le mani della mafia palermitana sulle feste religiose

Nuovo colpo alla famiglia mafiosa del Borgo Vecchio a Palermo. Questa mattina, giovedì 25 marzo, su delega della Dda, i carabinieri del comando provinciale hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip nei confronti di 15 indagati accusati a vario titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, furti, ricettazione ed estorsioni, tutti reati aggravati dal metodo mafioso, e di sfruttamento della prostituzione. Per uno è stato disposto il carcere, per 12 i domiciliari e per 2 l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Operazione Resilienza 2

L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, denominata Resilienza 2, costituisce il prosieguo del blitz che, il 12 ottobre scorso, aveva portato al fermo del presunto nuovo reggente della famiglia mafiosa, Angelo Monti, che, secondo i carabinieri del Nucleo operativo, aveva riorganizzato il clan affidando posizioni direttive a suoi uomini di fiducia come il fratello Girolamo Monti, Giuseppe Gambino, Salvatore Guarino e Jari Massimiliano Ingarao.

Molti imprenditori – il particolare è emerso nel corso della prima tranche dell’inchiesta – si erano ribellati al pizzo e avevano deciso di collaborare con le autorità contribuendo a far arrestare gli estorsori.

Funzione sociale?

Questa seconda tranche dell’indagine ha svelato il controllo capillare del territorio da parte della “famiglia”. I mafiosi continuano a rivendicare, con resilienza, una specifica “funzione sociale” attraverso alcune manifestazioni tipiche come la gestione delle feste rionali, l’organizzazione dei traffici di stupefacenti (funzionali a rimpinguare la cassa del clan) e la gestione di alcuni gruppi criminali che gestiscono i furti di veicoli e i cosiddetti conseguenti cavalli di ritorno (le richieste di soldi per la restituzione della refurtiva), anch’essi funzionali ad alimentare le casse della cosca.

Dalle indagini è emerso che i boss hanno anche un ruolo nella risoluzione di alcune controversie sorte all’interno dei gruppi organizzati della tifoseria del Palermo Calcio.

Il business della droga

Secondo le indagini, il presunto boss Angelo Monti aveva delegato al nipote Jari Massimiliano Ingarao l’intero settore delle attività illecite legate alla droga. Questi, nonostante fosse sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, avrebbe organizzato e coordinato tutte le attività funzionali al traffico, trovando le sostanze stupefacenti in Campania attraverso corrieri e avrebbe rifornito le varie piazze di spaccio del quartiere, delegando a seconda dei ruoli, scrive Ansa, i fratelli Gabriele e Danilo, Marilena Torregrossa, Carmelo Cangemi, Francesco Paolo Cinà, Saverio D’Amico, Davide Di Salvo, Giuseppe Pietro Colantonio, Salvatore La Vardera, Francesco Mezzatesta, Giuseppe D’Angelo, Nicolò Di Michele, Gaspare Giardina, Gianluca Altieri e Vincenzo Marino.

Ladri di biciclette

Le indagini hanno accertato che la capacità di dominare il territorio del clan Borgo Vecchio arrivava a controllare i ladri di biciclette o di moto che, oltre ad essere assoggettati alla ‘autorizzazione’ di Cosa nostra, dovevano destinare al clan mafioso parte dei proventi della ricettazione o della restituzione ai proprietari della refurtiva col solito metodo del ‘cavallo di ritorno’. L’organizzazione criminale specializzata nei furti era completamente sottomessa a Cosa nostra.

Il clan organizzava le feste religiose rionali

La famiglia mafiosa di Borgo Vecchio non si limitava allo spaccio e alle attività illecite. Aveva assunto anche il pieno controllo del comitato organizzatore della festa in onore della patrona del quartiere, “Madre Sant’Anna”, organizzata nel mese di luglio di ogni anno, il cui culto risale al 1555.

Sino a luglio 2015, infatti, il comitato organizzatore era guidato dalla famiglia Tantillo e, in particolare, dai fratelli Domenico e Giuseppe Tantillo che, nel dicembre 2015, sono stati arrestati nell’operazione Panta Rei con l’accusa di essere i reggenti della famiglia mafiosa.

Le riffe e i cantanti neomelodici

In occasione della festa, dal 25 al 27 luglio del 2019, le serate canore, animate da alcuni cantanti neomelodici, sono state organizzate da un comitato che, di fatto, era controllato da Cosa nostra. Secondo le indagini i mafiosi, infatti, sceglievano e ingaggiavano i cantanti e, attraverso le cosiddette “riffe” settimanali, raccoglievano le somme di denaro tra i commercianti del quartiere. Le somme venivano impiegate, oltre che per l’organizzazione della festa e l’ingaggio dei cantanti, anche per rimpinguare la cassa della famiglia mafiosa, per il sostentamento dei carcerati e per la gestione di ulteriori traffici illeciti.

La festa patronale

Le indagini hanno documentato l’attivismo degli esponenti ritenuti ai vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio che avevano il pieno controllo della festa patronale. Erano loro a decidere quali cantanti neomelodici dovessero partecipare alla manifestazione. Provvedevano al loro ingaggio attraverso il denaro ricavato dalle estorsioni, dalle “riffe” e dalle sponsorizzazioni dei gestori e titolari delle attività commercial.

Inoltre, autorizzavano gli ambulanti a vendere i loro prodotti durante la festa, disciplinando anche la loro collocazione lungo le strade del rione.

Un ruolo di primo piano era esercitato secondo le indagini da Salvatore Buongiorno, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, agente di numerosi cantanti neomelodici. E’ lui che avrebbe ricevuto disposizioni dai presunti boss Angelo Monti e Jari Massimiliano Ingarao per l’ingaggio dei cantanti scelti, attenendosi alle indicazioni sui nominativi di chi si esibiva, sui compensi e sul luogo in cui mettere il palco delle manifestazioni.

La fine del “sistema Borgo Vecchio”

Sempre Buongiorno avrebbe avvicinato i gestori e titolari delle attività commerciali del quartiere Borgo Vecchio e di corso Camillo Finocchiaro Aprile, chiedendo loro di sponsorizzare le manifestazioni. Infine avrebbe ottenuto il monopolio dell’affare all’interno della zona di riferimento del mandamento mafioso di Porta Nuova con l’autorizzazione di esponenti come Tommaso Lo Presti, i fratelli Gregorio e Tommaso Di Giovanni e Angelo Monti. La ribellione dei commercianti ha decretato la fine del “sistema Borgo Vecchio”

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