“Ore 18 di quel maledetto 19 marzo 2002. Squillò il telefono. Risposi, era Marco Biagi. Lavoravamo in Arel da giorni a un progetto innovativo di ammortizzatori sociali. Fissammo un incontro due giorni dopo per finalizzarlo. La follia brigatista spense la sua voce. Non le sue idee”. Così su twitter il segretario Pd Enrico Letta ricorda Marco Biagi, assassinato sotto casa dalle Nuove Br 19 anni fa.
Ore 18 di quel maledetto #19marzo2002. Squillò il telefono. Risposi, era #MarcoBiagi. Lavoravamo in Arel da giorni a un progetto innovativo di ammortizzatori sociali. Fissammo un incontro due giorni dopo per finalizzarlo. La follia brigatista spense la sua voce. Non le sue idee.
— Enrico Letta (@EnricoLetta) March 19, 2021
Marco Biagi, giuslavorista e accademico
Marco Biagi (Bologna, 24 novembre 1950 – Bologna, 19 marzo 2002) è stato un giuslavorista e accademico italiano, assassinato da un commando di terroristi appartenenti alle Nuove Brigate Rosse. L’omicidio avvenne un anno prima dell’approvazione della legge da lui promossa e indicata comunemente con il suo nome, ispirata a una maggior flessibilità dei contratti di lavoro.
Docente di diritto del lavoro in diverse università italiane, di fede politica socialista e di confessione cattolica, a partire dagli anni novanta ricoprì numerosi incarichi governativi come consulente di diversi ministeri.
La riforma del lavoro
Il giuslavorista fu il promotore di una riforma del mercato del lavoro emanata dal governo Berlusconi II poco tempo dopo l’attentato, ovvero la legge 14 febbraio 2003, n. 30 (“Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro”).
Determinante nella redazione della legge è l’argomentazione sostenuta da Biagi fin dagli anni ottanta nella tesi di laurea con la quale conseguì la cattedra di diritto del lavoro, secondo cui nel codice civile italiano il potere organizzativo e direttivo dell’azienda spetta esclusivamente al datore di lavoro, e non può quindi essere sindacato o sottoposto a giudizio di merito dalla magistratura del lavoro.
Nella risoluzione dei licenziamenti sarebbe quindi illegittima un’ordinanza di reintegrazione nel posto di lavoro, potendosi la controversia risolvere al massimo con un’indennità pecuniaria. I contratti di lavoro flessibili, così come la libertà di licenziamento in un contratto a tempo indeterminato, sono visti in questo modo non soltanto come una via per creare o mantenere nuova occupazione, ma come una questione di diritto e legalità nei confronti dell’imprenditore.
I risultati della legge Biagi sono stati oggetto di forti dibattiti: da una parte coloro i quali la difendono, sottolineandone l’effetto positivo sul ricambio dell’occupazione, dall’altra chi la contesta ritenendo che essa abbia soltanto aumentato la precarietà dei lavoratori ed il numero di precari (ossia lavoratori senza garanzie e tutele, anche per lavori che invece ne necessiterebbero).
L’attentato delle Nuove BR e la morte
La sera del 19 marzo 2002, dopo che Biagi, come ogni sera, aveva percorso in bicicletta il tratto di strada che separa la stazione di Bologna dalla sua abitazione di via Valdonica, un commando di brigatisti lo blocca di fronte al portone della sua casa, al civico 14. I terroristi, con indosso caschi integrali, aprirono il fuoco per poi allontanarsi molto velocemente. Colpito da sei proiettili, alle 20:15 Biagi muore tra le braccia dei medici del 118.
La rivendicazione, a firma Nuove Brigate Rosse, viene inviata quella stessa notte a diverse agenzie e quotidiani e fa riferimento ad una nuova precisa strategia dell’organizzazione terroristica, volta a colpire uomini dello stato legati ad un contesto di ristrutturazione del mercato del lavoro.
Gli ergastoli
Per l’omicidio Biagi sono stati condannati all’ergastolo Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma e Diana Blefari Melazzi. La nobildonna si impiccò nella sua cella di Rebibbia, a Roma, con strisce di lenzuola il 31 ottobre 2009 poche ore dopo la notifica della sentenza. All’altro brigatista del commando omicida, Simone Boccaccini, il carcere a vita in primo grado fu ridotto a 21 anni in appello, per la concessione delle attenuanti generiche, e la Cassazione confermò.