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La pandemia e il cammino ecumenico

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Il Concilio Vaticano II ha stabilmente collocato l’ecumenismo al centro dell’azione della Chiesa cattolica e, nell’ultimo mezzo secolo, il dialogo fra cristiani è il filo rosso che accomuna tutti i pontificati. Nella globalizzazione della solidarietà resa indispensabile dalla strategia planetaria di contrasto all’epidemia di coronavirus, il riavvicinamento ecumenico potrebbe fare uno storico passo in avanti lungo il proprio cammino di unità trasfornando una crisi mondiale in opportunità di crescita. “Perché non lanciare una provocazione? Spostare la Pasqua quest’anno secondo il calendario giuliano- dichiara a Interris.it Antonio Cavallaro, esperto di comunicazione e studioso di liturgia-. Questo spostamento ci consentirebbe da un lato di celebrare insieme ai fratelli ortodossi e dall’altro ci darebbe la possibilità di avere ancora un’altra settimana di tregua dal Covid-19″. Infatti, “se il blocco alle messe disposto responsabilmente dalla Cei per far fronte all’emergenza sanitaria terminasse il 3 aprile, il 5 aprile sarebbe già Domenica delle Palme. Quante persone parteciperebbero con tranquillità a questa funzione? Cosa accadrebbe con le chiese piene se il contagio non fosse davvero finito? Non sarebbe allora più opportuno darsi almeno un’altra settimana di tempo?”, si chiede Cavallaro.

Per ristabilire l’unità fra i cristiani

L’ecumenismo ha nel Concilio il suo momento più alto e intenso. Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è stato uno dei principali intenti del Vaticano II. Conversando con i giornalisti sul volo di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, Francesco ha ricostruito le radici ecumeniche e conciliari del proprio pontificato attraverso il debito di riconoscenza verso Angelo Roncalli. “Giovanni XXIII è un po’ la figura del prete di campagna, del prete che ama ognuno dei fedeli, che sa curare i fedeli”, ha sottolineato papa Bergoglio. “E questo lo ha fatto come vescovo, come nunzio. Tante testimonianze di Battesimo false ha fatto in Turchia in favore degli ebrei! Era un coraggioso. Prete di campagna, buono, con un senso dell’umorismo tanto grande e una grande santità”. E ancora: “Quand’era nunzio, alcuni non gli volevano tanto
bene in Vaticano, e quando arrivava per portare i conti, o chiedere a certi uffici, lo facevano aspettare. Mai se ne è lamentato. Pregava il rosario, leggeva il breviario… Mai. Un mite, un umile”.  Inquadrare teologicamente la svolta conciliare consente di rintracciarne
i tentativi di attuazione nel pontificato riformatore di Jorge Mario Bergoglio.

Unitatis Redintegratio

Il decreto sull’ecumenismoUnitatis Redintegratio” del Concilio rappresenta un punto di arrivo, di non ritorno e di partenza per la Chiesa cattolica, con affermazioni significative e vincolanti per un cammino di fondamentale importanza. Secondo Orioldo Marson, docente di teologia fondamentale e sistematica e direttore dell’istituto di scienze religiose di Portogruaro, la vibrante e commossa preghiera di Gesù (“ut unum sint”, affinché siano una cosa sola) interpella i cristiani a cercare le vie della riconciliazione e del dialogo verso l’unità in Cristo. L’ecumenismo rappresenta un disegno di grazia, posto sotto la forza dello Spirito che ha effuso con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l’interiore ravvedimento e il desiderio dell’unione, un segno dei tempi da riconoscere e accogliere a servizio dell’unità del genere umano. E dallo spirito ecumenico nasce una tensione evangelica rivolta ad abbattere i muri della divisione e a costruire ponti fra l’incontro fra religioni, popoli e culture. L’inizio del movimento ecumenico moderno risale al 1910, l’anno dell’assemblea missionaria di Edinburgo quando i rappresentanti delle società missionarie protestanti, più di 1300 persone, si riuniscono per trovare rimedio agli scandali e ai danni causati alla missione dalla divisione tra le Chiese. A giudizio di Marson l’annuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII, in un giorno emblematico, il 25 gennaio 1959, nella
cattedrale romana di San Paolo fuori le mura, segna una svolta provvidenziale nel cammino ecumenico della Chiesa cattolica.

Nel segno di San Giovanni XXIII

La preoccupazione per l’unità dei cristiani è ben presente nel cuore e nel pensiero di papa Roncalli. Il Concilio ecumenico non ha soltanto lo scopo del bene spirituale del popolo
cristiano. Esso vuole essere anche un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità alla quale tante anime aspirano in tutte le parti della terra. L’invito rivolto agli osservatori di
tutte le Chiese a presenziare alle assemblee conciliari è un gesto di notevole portata. Dopo anni di silenzi ufficiali,di scambi per lo più sotterranei e lasciati all’iniziativa personale, la Chiesa cattolica coglie l’urgenza del dialogo ecumenico. L’intero Concilio Vaticano II si è svolto sotto il segno dell’ecumenismo, per lo spirito presente nei lavori conciliari come anche per la prospettiva generale dei documenti. Nella costituzione sulla Chiesa, la Lumen Gentium, dal punto di vista ecumenico, sono significative due scelte che riguardano la struttura generale del documento. L’esposizione inizia presentando il popolo di Dio nel suo insieme, prima di trattare della costituzione gerarchica della Chiesa. Per Marson se la
Chiesa cattolica ha ricevuto dall’esterno l’ecumenismo, con il Concilio ne ha fatto il suo programma. Dal Concilio sono nati  gli impulsi che hanno permesso non so

Papa Francesco durante la Messa conclusiva del Sinodo per l’Amazzonia, 27 ottobre 2019 – Foto © Paul Haring per CNS

lo l’istituzione del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, ma anche una lunga serie di dialoghi bilaterali e multilaterali tra le diverse Chiese.

 

Ut Unum Sint

La riscoperta della fraternità tra i cristiani, come scrisse Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut Unum Sint, rappresenta il grande frutto del cammino ecumenico. Il Concilio ha rappresentato la svolta che ha consentito la partecipazione cattolica al movimento ecumenico. La costituzione del Segretariato per l’unione dei cristiani, la presenza al Concilio di osservatori non cattolici, i documenti conciliari, la domanda e l’offerta di
perdono da parte di Paolo VI agli altri cristiani per i peccati commessi contro l’umanità, costituiscono altrettanti elementi di questa svolta. A partire dal 1965 la Chiesa cattolica è entrata in dialogo, a livello internazionale e locale con tutte le altre grandi famiglie di Chiese cristiane. I dialoghi bilaterali con le principali famiglie confessionali e comunioni cristiane mondiali rappresentano una forma di impegno ecumenico particolarmente congeniale alla Chiesa cattolica. Il 5 dicembre 1965, nel corso di un’udienza generale, Paolo VI diceva che il Concilio, per sua natura, è un fatto che deve durare. Se davvero esso è stato un atto importante, storico e, sotto certi aspetti,
decisivo per la vita della Chiesa, è chiaro che “noi lo troveremo sui nostri passi ancora per lungo tempo; ed è bene che sia così“. E così è stato, da cinquant’anni a questa parte, senza smentire, nemmeno per un istante, la profetica considerazione del
primo papa moderno (come lo hanno definito i biografi) che accompagna la Chiesa a misurarsi con le intuizioni del Concilio Vaticano II, un evento che, secondo Paolo VI, prolunga i suoi effetti ben oltre il periodo della sua effettiva celebrazione”.

Sergio Galeazzi: