Indulgenza, il manto della misericordia al tempo della pandemia

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Dai missionari della misericordia agli angeli dell’indulgenza. Venerdì, “in questo tempo di emergenza per l’umanità“, come puntualizza la Santa Sede, Francesco inviterà “i cattolici di tutto il mondo a unirsi spiritualmente in preghiera con lui“. Si potrà pregare con il Papa “in diretta tramite i media“. Poi la benedizione eucaristica sarà impartita “Urbi et orbi” attraverso i mezzi di comunicazione. A tutti coloro che si uniranno spiritualmente a questo momento di preghiera (che si svolgerà alle 18 di venerdì sul sagrato della basilica di San Pietro) tramite i media sarà concessa l’indulgenza plenaria secondo le condizioni previste dal recente decreto della Penitenzieria Apostolica.”Un grande manto di misericordia viene steso su tutti coloro che desiderano riceverla- afferma il cardinale Penitenziere maggiore Mauro Piacenza a Vatican news, illustrando il decreto sull’indulgenza plenaria offerta in occasione dell’emergenza per la pandemia-. La straordinarietà di questo tempo richiede provvedimenti straordinari per aiutare, per essere vicini, per confortare, per assistere, per non far mancare mai a nessuno la carezza di Dio di fronte alla sofferenza e alla prospettiva della morte imminente. Per questo la Penitenzieria, agendo al servizio del Papa e con la sua autorità, ha emanato il decreto sull’indulgenza”

L’approfondimento di Interris.it

Interris.it ritiene utile ripercorrere e analizzare le radici del pontificato della misericordia fino alla preghiera che venerdì alle 18 il Pontefice guiderà dal sagrato della basilica di San Pietro. L’indulgenza, quindi, come frutto della misericordia che caratterizza l’intero settennato fin qui svolto da Jorge Mario Bergoglio alla guida della Chiesa universale. La rappresentazione più efficace di quanto la misericordia
attui e completi il Concilio, il Papa l’ha offerta al mondo aprendo il primo Giubileo tematico della storia nel 50° anniversario della conclusione del Vaticano II. In occasione dell’apertura della Porta Santa, l’8 dicembre 2015, lo storico della Chiesa Alberto Melloni dichiara di aver trovato di una forza e un’audacia straordinaria il ricordo del cinquantesimo anno della conclusione del Concilio Vaticano II, sottolineando, proprio nel giorno in cui apriva la Porta Santa, come esso sia stato l’aprirsi della Chiesa verso il mondo. Secondo Melloni, forte ed audace è stata anche la diagnosi del cattolicesimo preconciliare. Il Papa ha parlato di secche. E se la Chiesa è una barca, parlando delle secche ha mostrato tutta la necessità teologica del Concilio perché la Chiesa potesse essere ciò che doveva essere. La data di inizio del Giubileo per la Chiesa Universale è stata volutamente quella del 50° anniversario del Concilio. Il mandato è quello di riprendere con la stessa forza ed entusiasmo la spinta missionaria del Concilio, che 50 anni fa, prima di produrre documenti, è stato un incontro, un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini di oggi, ai quali il Papa si è rivolto nella messa a piazza San Pietro che ha preceduto l’apertura della Porta Santa.

Foto © Tyrone Siu per Reuters

Un vero incontro

A Roma e in tutte le diocesi della terra, varcare la Porta Santa ha anche il significato di ricordare un’altra porta che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio Vaticano II spalancarono verso il mondo. Infatti questa scadenza non può essere ricordata solo per la ricchezza dei documenti prodotti, che permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede. In primo luogo il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini della società contemporanea. Un incontro, a giudizio di Francesco, segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro. Dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Per Francesco, una spinta missionaria che dopo decenni viene ripresa dalla Chiesa con la stessa forza e lo stesso entusiasmo. Il 7 dicembre 1965 era stata approvata la Gaudium et Spes, costituzione sul rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo, e il giorno dopo si tenne la cerimonia conclusiva: cinquanta anni fa in questi giorni si chiudeva il Concilio Vaticano II, inaugurato da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 con il memorabile discorso alla luna. “Non c’è nessun tempo – affermava in quel discorso papa Roncalli – in cui la Chiesa non si sia opposta agli errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”.

Tra storia e attualità

Significativamente, Francesco ha voluto che il 50° anniversario del Concilio coincidesse con l’inaugurazione di un giubileo straordinario che ha dedicato alla misericordia. Sicché,
tra storia e attualità, la Chiesa cerca di rapportarsi con il mondo con lo stesso sguardo misericordioso del suo Dio. Oltre alla Gaudium et Spes, il Concilio aveva approvato altre tre costituzioni: la Sacrosanctum Concilium sulla liturgia, la Lumen Gentium sulla Chiesa e la Dei Verbum sulla Sacra Scrittura. Aveva, inoltre, prodotto nove decreti: sull’ecumenismo, sulle Chiese orientali, sulle comunicazioni sociali, sulla missione pastorale dei vescovi, sulla vita religiosa, sulla formazione sacerdotale, sull’apostolato dei laici, sull’attività missionaria della Chiesa, sulla vita ed il ministero dei presbiteri. E aveva emanato tre dichiarazioni, Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, Nostra Aetate sulle religioni non cristiane e Gravissimum Educationis sull’educazione cristiana. Ma sarebbe sbagliato ridurre il Vaticano II ai documenti approvati, seppure in alcuni casi assolutamente innovativi sul piano ecclesiale e culturale. Quanti vi hanno partecipato, e dopo di loro gli storici, ne sottolineano il carattere
di “evento”, cioè il suo essere stato prima di tutto un’esperienza di vita e un modo concreto di vivere la Chiesa e di rimodellare il suo rapporto con il mondo moderno.

– Foto © Tony Gentile per Reuters

Sguardo di speranza

Sia nella dottrina che nella pastorale e nella formazione della sua “classe dirigente”,dunque, il Vaticano II è stato uno spartiacque nella vita della Chiesa: prima la messa era celebrata in latino, che oltre ai sacerdoti quasi nessuno capiva, e con il prete che volgeva le spalle ai fedeli. La Bibbia era un oggetto sconosciuto per i cattolici, praticamente nessuno l’aveva a casa o era capace di leggerla. I non cattolici e le altre religioni erano guardati talora con diffidenza, e gli ebrei visti con ostilità e sospetto, benché per volontà di Giovanni XXIII non fossero più definiti “perfidi” in una preghiera liturgica. Prima del Concilio, inoltre, lo sguardo di speranza e misericordia sul mondo di papa Roncalli non aveva informato in profondità la Chiesa, e la discussione teologica e culturale non era in auge tra clero e fedeli. Le chiese del terzo mondo e i poveri non erano al centro dell’attenzione della Chiesa di Roma. La Chiesa dopo il Concilio, soprattutto in Occidente, ha innovato molto nel rapporto con il mondo moderno e nel dialogo interreligioso, ha realizzato meno dell’aspirazione a una Chiesa dei poveri. Ma almeno in America latina le cose sono andate diversamente, sia per la situazione sociale di partenza che per la sensibilità dei vescovi, anche nei confronti del pensiero di Paolo VI.

In tempo di pandemia

Oggi che il Papa è un latinoamericano e che ha celebrato il Giubileo della misericordia, l’ispirazione di Roncalli e le realizzazioni di Montini potrebbero suscitare ulteriori declinazioni, e chissà che non ne venga fuori qualche sorpresa nella prosecuzione di un pontificato già ricchissimo di segni e realizzazioni. Ancora una volta il nodo è costituito dal legame tra Bergoglio e i suoi predecessori, in particolare Giovanni XXIII. E l‘indulgenza in tempo di pandemia è un gesto di misericordia che sarebbe piaciuto ad Angelo Roncalli, cappello al fronte durante la prima guerra mondiale.

Gianluca Franco: