Sono oltre 600mila le imprese condotte da lavoratori immigrati in Italia, un decimo di tutte le aziende registrate presso le Camere di Commercio del Paese (9,9%). Lo evidenzia il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2019, realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cna) e con il contributo dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (Oim) – Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo. Il rapporto, a partire dall’analisi statistica, presenta il quadro aggiornato del fenomeno dell’imprenditoria straniera in Italia tanto a livello nazionale che delle singole Regioni e Province Autonome, anticipando l'edizione integrale del volume, prevista nel prossimo mese di maggio, che amplierà l’analisi focalizzando aspetti specifici e allargando la prospettiva al panorama europeo.
Benefici
Dagli anni della crisi (2008) ad oggi – si legge nell'introduzione del Report – emerge un trend positivo che connota l’impegno imprenditoriale, professionale ed economico degli immigrati, spesso impegnati in settori poco ambiti dagli italiani in aree urbane e periferiche, in settori sia tradizionali e di servizio alla collettività, che in quelli caratterizzati da processi di innovazione”. Le anticipazioni del Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2019 in Italia ci consegnano un quadro di costante crescita delle attività indipendenti dei migranti (+2,5% nel 2018 e +32,6% dal 2011), che rappresentano ormai un decimo di tutte le imprese del Paese (9,9%). Concentrate nel commercio (35,1%) e nell’edilizia (22,4%) ma sempre più orientate al mondo dei servizi, si distinguono per un forte dinamismo e una notevole adattabilità: aspetti quanto mai preziosi per gli andamenti dell’intero sistema di impresa nazionale. In particolare, in Italia, nell’analizzare il differenziale tra le nuove imprese e quelle che cessano le proprie attività, quelle con titolare immigrato sono un fattore distintivo della “nuova imprenditoria”. A tale fattore va aggiunto il dato significativo che emerge dalla lettura dei dati del Rapporto relativo alla partecipazione delle donne, che lentamente ma con continuità si ritagliano maggiori spazi di azione e alla fine del 2018 guidano un quarto delle attività imprenditoriali in mano a lavoratori di origine straniera (24,0%, 145mila). Le imprese degli immigrati, anche se spesso di dimensioni modeste, costituiscono non soltanto un fattore di benessere ed un “ascensore sociale” per le famiglie di provenienza, ma anche – si legge ancora – fattore di coesione per la società nel suo insieme e una risorsa a disposizione per costruire con i Paesi di origine un partenariato commerciale e produttivo sensibile al tema della sostenibilità e aperto a prodotti e servizi di nuova concezione.
I principali comparti di attività
Le attività indipendenti dei lavoratori immigrati in Italia operano innanzitutto nel commercio e nell’edilizia: due ambiti che da soli arrivano a raccogliere quasi 6 imprese immigrate ogni 10 (57,5% del totale). Il commercio, in particolare, rafforza di anno in anno il proprio peso (+35,1% dal 2011), e alla fine del 2018 rappresenta l’ambito di attività di più di un terzo di tutte le iniziative imprenditoriali dei migranti in Italia (35,1%, pari a 211mila), pari a quasi un settimo dell’insieme delle attività commerciali registrate nel Paese (13,8%; le aziende gestite da operatori autoctoni operano nel comparto nel 24% dei casi). Si tratta, come è noto, di un ambito in cui si raccolgono attività molto diversificate, che spaziano dall’ambulantato al commercio all’ingrosso e dalla distribuzione ortofrutticola all’import-export (generalmente tra l’Italia e i Paesi di origine dei lavoratori coinvolti): uno scambio, quest’ultimo, che non solo porta nel mercato nazionale “nuovi” prodotti (per lo più produzioni tipiche dei territori di provenienza), ma viaggia anche in senso contrario, funzionando come un vettore di supporto alla diffusione del made in Italy e all’internazionalizzazione delle rete delle piccole e medie imprese. L’edilizia, invece, pur mantenendo un ruolo di assoluto rilievo (22,4% tra le imprese immigrate e 12,7% tra quelle gestite da autoctoni) e un andamento comunque in crescita (+8,3% sul 2011), sconta gli sviluppi più problematici degli ultimi anni. Appartiene al settore dei servizi anche il secondo comparto che più si è distinto in termini di crescita negli ultimi anni: quello delle attività di alloggio e (soprattutto) di ristorazione (+61,5% dal 2011), che proprio a seguito degli accentuati ritmi di aumento si distingue oggi anche come il terzo ramo di attività per gli immigrati che scelgono la via dell’autonomia (8,1%), dopo il commercio e l’edilizia, con una quota analoga, ma da qualche anno superiore, a quella della manifattura (7,8%). Le attività manifatturiere scontano infatti una fase di persistenti difficoltà che si riflette in un andamento meno dinamico, per quanto – a sua volta – sempre orientato alla crescita (+18,8% dal 2011).
Contro la crisi
Trasversale, infine, è la partecipazione al variegato mondo dell’artigianato, all’interno del quale il ruolo degli immigrati è al centro di un crescente interesse, soprattutto in termini di ricambio generazionale, data la scarsa attrattività che certi comparti artigiani esercitano sui giovani italiani (in particolare gli ambiti più maturi e con scarsi margini di crescita e di guadagno). “Proprio in questi anni di profonda difficoltà per il tessuto produttivo e occupazionale del Paese – evidenzia nel rapporto Maria Paola Nanni, Centro Studi e Ricerche Idos – le attività indipendenti dei migranti si sono definitivamente affermate come una componente strutturale della base di impresa nazionale, che trova le sue caratteristiche distintive in un accentuato dinamismo e in una notevole flessibilità. Dal commercio all’edilizia, dalle attività di ristorazione alla manifattura, le iniziative di lavoro indipendente dei migranti si sono rapidamente diffuse introducendo nuove tipologie di prodotti e di servizi (a beneficio tanto dei migranti che degli autoctoni), sostenendo le difficoltà di ricambio generazionale (soprattutto in settori maturi, con bassi margini di guadagno e ad alta intensità di lavoro), a volte assecondando gli ambigui meccanismi del subappalto a cascata e le scarse possibilità di inserimento alle dipendenze, altre attivando proficui processi di emancipazione socio-economica, di innovazione e di sviluppo, anche a livello transnazionale”.