Papa Francesco ha incontrato giornalisti e comunicatori in occasione del Giubileo della Comunicazione, sottolineando l’importanza di un giornalismo responsabile e costruttivo. Il Santo Padre ha chiesto la liberazione dei colleghi detenuti e ha invitato a promuovere una comunicazione che sia capace di unire le persone e di offrire speranza. Durante l’evento, Maria Ressa e Colum McCann hanno condiviso le loro esperienze, sottolineando l’importanza di un giornalismo che combatta la disinformazione e promuova il dialogo
Un dialogo che costruisce
Francesco si dice “contento” del Giubileo dei comunicatori, primo grande appuntamento degli oltre 35 che scandiranno l’Anno Santo. “Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce, costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero”, dice il Papa, inscenando un dialogo con un fedele, caratteristico della sua predicazione: “Eh padre, io sempre dico le cose vere”. “Ma tu sei vero? Non solo le cose che tu dici. Ma tu, nel tuo interiore, sei vero?”.
Il ricordo dei giornalisti che sono morti sul campo
Nel discorso preparato e consegnato ai partecipanti al Giubileo della Comunicazione, il Papa ricorda anzitutto i “colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue”, tutti i giornalisti morti durante quest’anno che definisce tra i più “letali” per i reporter. Centoventi quelli rimasti uccisi sotto le bombe e in attentati nei territori di guerra, secondo il rapporto annuale della Federazione internazionale dei giornalisti. Non dimentica il Papa anche “coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti!”. Le cifre le ha fornite un comunicato di Reporter Senza Frontiere pubblicato a fine 2024: circa 500 sotto detenzione. Il Papa lancia un appello per la loro liberazione
Una informazione libera
L’altra “libertà” che domanda Francesco, sulla scia dei suoi predecessori, è “la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati”. “Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso”, sottolinea. “Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità”.
Vocazione e coraggio, la missione del giornalista
Per il Papa, quella del giornalista è più che una professione: “È una vocazione e una missione”. E i comunicatori hanno un ruolo fondamentale per la società oggi: “Il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà”. Un altro concetto sul quale Francesco insiste è il “coraggio”. Coraggio “per avviare il cambiamento che la storia ci chiede”, per “superare la menzogna e l’odio”, per “ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore”. Insieme alla liberazione dei giornalisti Bergoglio chiede allora “la “liberazione della forza interiore del cuore. Di ogni cuore”.
Storie di speranza
Un ultimo focus, da parte del Papa, è sul “potere trasformativo” della narrazione, del racconto e dell’ascolto delle storie. Non tutte “sono buone” ma “anche queste vanno raccontate”: “Il male va visto per essere redento; ma occorre raccontarlo bene per non logorare i fili fragili della convivenza”, afferma Francesco. Il suo invito ai professionisti dell’informazione è a raccontare in questo Giubileo “storie di speranza” che “nutrono la vita”. E rendere lo storytelling anche un hopetelling: “Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto”.
Le Parole del Papa
Voglio poi ricordare insieme a voi anche tutti coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti! [2] Ma in questo Anno Santo, in questo giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. Sia aperta anche per loro una “porta” attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi. Chiedo – come ho fatto più volte e come hanno fatto prima di me anche i miei predecessori – che sia difesa e salvaguardata la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati. Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità. Quella del giornalista è più che una professione. È una vocazione e una missione. Voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate. Lo sappiamo: il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà.
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L’importanza del coraggio
La libertà è il coraggio di scegliere. Cogliamo l’occasione del Giubileo per rinnovare, per ritrovare questo coraggio. Il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe. Rimettiamo il rispetto per la parte più alta e nobile della nostra umanità al centro del cuore, evitiamo di riempirlo di ciò che marcisce e lo fa marcire. Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella “putrefazione cerebrale” causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, “scorrimento”, sui social media, definita dal Dizionario di Oxford come parola dell’anno. Dove trovare la cura per questa malattia se non nel lavorare, tutti insieme, alla formazione, soprattutto dei giovani? Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità. Abbiamo bisogno di imprenditori coraggiosi, di ingegneri informatici coraggiosi, perché non sia corrotta la bellezza della comunicazione. I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati.
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Raccontare la speranza
Raccontare una storia corrisponde all’invito a fare un’esperienza. Quando i primi discepoli si erano avvicinati a Gesù chiedendogli «Maestro, dove dimori?» (Gv 1,38), Egli non rispose dando loro l’indirizzo di casa, ma disse: «Venite e vedrete» (v. 39). Le storie rivelano il nostro essere parte di un tessuto vivo; l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri. [3] Non tutte le storie sono buone e tuttavia anche queste vanno raccontate. Il male va visto per essere redento; ma occorre raccontarlo bene per non logorare i fili fragili della convivenza. In questo Giubileo faccio quindi un altro appello a voi qui riuniti e ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche hopetelling. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi. Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza. [4] Significa accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri. Raccontare la speranza significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere. Vuol dire far camminare le cose verso il loro destino. È questo il potere delle storie. Ed è questo che vi incoraggio a fare: raccontare la speranza, condividerla. Questa è – come direbbe San Paolo – la vostra “buona battaglia”.