Grandi occhi che nervosamente si guardano intorno, o fissano un punto nel vuoto dell'orizzonte nella speranza di capire cosa ha in serbo per loro il futuro. Soli, senza una mamma o un papà che tenga loro la mano e li rassicuri spiegando che andrà tutto bene, che il peggio è passato. Li vediamo scendere timidamente dalla navi che li hanno soccorsi, insieme a centinaia di altre persone che hanno dovuto lasciare la loro terra natale in cerca di una vita migliore, lontano da guerre e violenze. Minori stranieri non accompagnati (Msna), è questa la dicitura ufficiale con cui vengono definiti tutti quei ragazzi e ragazze che da soli affrontano la traversata del Mediterraneo o la rotta dei Balcani per arrivare in Italia, ma troppo spesso ci si dimentica che si tratta di bambini o adolescenti che sono dovuti crescere troppo in fretta e affrontare eventi che va al di là della loro comprensione.
I dati
Secondo il report mensile stilato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione generale dell'Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, al 31 dicembre 2019, in Italia erano presenti 6.054 minori stranieri non accompagnati. Il 61,5% ha 17 anni, il 26,1% 16 anni, il 7,2% 15 anni, il 4,5% ha un'età compresa tra i 7 e 14 anni, lo 0,7% rientra in una fascia di età che va dagli zero ai 6 anni. Dal rapporto però emerge un altro dato allarmante: 5.383 minori arrivati in Italia risultano irreperibili. Cosa significa? Di loro si sono perse le tracce, non è certo se si siano allontanati volontariamente dalle strutture di accoglienza, magari per raggiungere alcuni parenti o membri delle loro comunità in altri Stati Europei o, nel peggiore dei casi siano finiti nelle mani della criminalità e sfruttati per il lavoro nero, l'accattonaggio o se siano finiti nel mercato della tratta di esseri umani. Ma chi sono questi minori? Cosa fare per proteggerli e garantire loro un futuro sereno? In Italia, ci sono leggi sufficientemente adeguati per garantire loro un valido percorso di accompagnamento fino alla maggiore età? In Terris ne ha parlato con la dottoressa Raffaella Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save The Children.
Dottoressa Milano, chi sono questi minori di cui parla il report? Come arrivano in Italia?
“Sono ragazzi e ragazze che arrivano da soli, minori prevalentemente adolescenti che non hanno una figura adulta di riferimento, o perché sono proprio partiti da soli dal loro Paese natale o perché, in alcuni, hanno perso la loro famiglia durante il viaggio. La loro provenienza, no corso degli anni cambia, anche in relazioni alle crisi che scuotono il nostro mondo. In alcuni periodi possono essere ragazzi che prevalentemente vengono dall'Afghanistan, o dal Corno d'Africa, dalla Nigeria o dal Sud Sudan. Paesi diversi e anche rotte diverse. Alcuni di questi ragazzi, purtroppo, sono transitati dalla Libia, quindi hanno vissuto nei centri di detenzione, subendo crudeltà assolute. Alcuni arrivano via mare, alcuni via terra, dalla Grecia, alcuni nascosti nei cassoni dei camion, rischiando di morire asfissiati. Li chiamiamo minori stranieri non accompagnati, ma in realtà le loro biografie e le loro storie si diversificano moltissimo”.
Qual è il loro percorso all'interno del territorio italiano?
“In Italia abbiamo la legge Zampa, dedicata a garantire un percorso di protezione e accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Il primo passo per tutti, il più delicato, è l'accertamento dell'età. Il fatto di essere minori dà la possibilità di non essere espulsi, anzi lo Stato, in relazione ai diritti per l'infanzia, si prende carico di questi ragazzo, che prima ancora di essere essere straniero o rifugiato, è un minore solo. Verificare che sia minorenne, quando parliamo di adolescenti, è di particolare importanza. Poi c'è una prima accoglienza, un momento di incontro con il minore per costruire una cartella sociale, un profilo che poi possa aiutare nelle fasi successive di accompagnamento all'autonomia. E poi, una seconda accoglienza che lo accompagni fino alla maggiore età”.
Dal dossier emerge anche un altro dato: 5.383 minori stranieri non accompagnati sono irreperibili…
“Sì, noi li chiamiamo minori invisibili. Si allontano dal circuito di accoglienza, in molti casi perché voglio raggiungere altri Paesi europei, per loro l'Italia è solo una prima tappa di arrivo. Purtroppo l'europa ad oggi non ha un meccanismo di quella che viene chiamata relocation, ossia la ricollocazione di questi minori. Non esiste una modalità per consentire a un minore straniero da solo, che vuole raggiungere dei rappresentanti della sua comunità in un altro Stato europeo, di poterlo fare. Questo provoca il fatto che moltissime ragazze e ragazzi – penso soprattutto a quelli che vengono dall'Eritrea – si riducano in Italia a mettersi nelle mani di altri trafficanti. Noi abbiamo una presenza a Ventimiglia che ha rilevato un giro di passeur (trafficanti) ai quali i ragazzi si affidano per varcare il confine. Questo con dei rischi enormi, perché spesso non riescono nel loro intento e vengono rimandati in Italia, talvolta devono pagare per questi 'passaggi di frontiera' e quindi devono procurarsi dei soldi e lo fanno in qualsiasi modo. Questo crea un enorme danno nella loro vita. E' proprio questo il motivo per cui noi, come Save The Children, ci stiamo battendo affinché ci sia un sistema di protezione europeo, considerando che un ragazzo che arriva in Italia, è arrivato in Europa”.
Esiste la possibilità che finiscano nella rete della criminalità?
“Sì. Sia i ragazzi che le ragazze possono finire nei circuiti più biechi di sfruttamento: da quello sessuale -soprattutto delle giovani nigeriane -, nei circuiti di criminalità, nel mondo del lavoro nero. Sfruttamento legato anche all'ansia che hanno nel ripagare i debiti contratti durante il viaggio, in alcuni casi, le ragazze nigeriane sono partite dal loro Paese, ingannate, per poi fruttare ai loro trafficanti un valore in denaro. Ragazze che arrivano in Italia con figure che le controllano a vista e poi vengono mandate sulla strada a prostituirsi. In altri casi, i ricatti, i debiti, li induce a prendere qualsiasi di lavoro, con 'retribuzioni' misere e, ovviamente, senza nessun tipo di contratto regolare”.
Come proteggerli?
“Il lavoro che va fatto subito con queste ragazze e ragazzi è quello di rafforzare la loro fiducia nella possibilità di avere un sostegno e una buona integrazione in Italia. Quindi prendere il tempo giusto che serve per, all'interno di una rete di accoglienza, per poter crescere e poi entrare nel mondo del lavoro, ma in maniera protetta, tutelata e dignitosa. Tutto questo però è di difficile attuazione e i minori – che hanno già sofferto moltissimo – cadono nel mondo dello sfruttamento”.
Le leggi del nostro Paese sono sufficienti a garantire la sicurezza di questi bambini e ragazzi?
“Sul piano legislativi l'Italia ha fatto dei grandi passi avanti, un esempio è proprio la legge Zampa che citavo prima. Queste leggi hanno però un'attuazione molto difficile, ancora oggi mancano dei decreti attuativi. Dall'altra parte l'inasprimento delle regole con i decreti sicurezza che riguardano i migranti adulti, mettono in una condizione di rischio i ragazzi una volta raggiunta la maggiore età: si rischia di non incentivare i ragazzi più giovani di fare un percorso di inclusione, perché hanno paura che una volta raggiunti i 18 anni di non poter rimanere regolarmente in Italia. Abbiamo delle norme, in particolare sui minori stranieri non accompagnati, tra le più avanzate, la legge Zampa viene presa modello in Europa, ma all'atto pratico ci sono dei vuoti e delle mancanze che rendono il cammino di attuazione complesso. Ci troviamo in una situazione in cui, quando tutti gli ingranaggi vengono messi in atto, si riesce a offrire a un ragazzo o una ragazza sola, anche un percorso di eccellenza per quanto riguarda l'inserimento scolastico, le borse lavoro, la figura del tutor e, alla fine, il raggiungimento dell'autonomia. Quando tutto questo non accade, il rischio di cadere in un'ulteriore forma di sfruttamento è dietro l'angolo. I dati stessi ce lo confermano e queste migliaia di minori che non riescono ad avere un percorso di inclusione sono la testimonianza che c'è ancora un enorme lavoro da fare, forse più che a livello normativo, a livello attuativo”.
Save the Children ha dei programmi specifici rivolti ai minori stranieri non accompagnati?
“Sì, noi abbiamo dei programmi specifici abbastanza importanti. Tra questi una 'help line' che risponde in sei lingue (800-141016): è un numero verde usato sia da minori, ma anche da persone che chiedono informazioni, cittadini, operatori dei servizi, a volta anche per comunicare con ragazzi che hanno difficoltà a parlare inglese o francese, è un primo servizio accessibile a tutti. Abbiamo alcuni centri che si chiamano 'Civico zero' – a Catania, Roma, Milano, Torino, città dove i minori invisibili si concentrano – e sono centri a bassa soglia, ossia aperti a tutti i minori stranieri non accompagnati, dove si trovano diverse possibilità. Da servizi di base, come farsi una doccia e avere l'indispensabile per sopravvivere, alla possibilità di avere un orientamento legale, imparare l'italiano, essere accompagnati per ricevere una borsa lavoro, ma soprattutto è un ambiente che vuole ricreare quel clima di fiducia che un adolescente deve sempre avere intorno a sé per poter crescere e credere nella possibilità di costruire un futuro. Abbiamo anche dei team mobili che operano in frontiera – sia sud che nord – dove cerchiamo di essere presenti proprio al momento dello sbarco, perché è importantissimo che in quel momento, anche una ragazzina che può essere vittima di tratta, trovi la possibilità di avere un interlocutore con cui confidarsi e, magari, avere un momento di aggancio, e spiegare loro dove si trovano – alcuni non sanno neanche di essere arrivati in Italia -, spiegare la legislazione (alcuni di loro non sanno neanche quello che possono dire), venendo da viaggi durante i quali anche le istituzioni hanno mostrato il volto più cattivo e severo. Il rischio è anche quello che questi ragazzi, se non capiscono che possibilità hanno, scelgano la via della fuga. Abbiamo anche un altro progetto che si chiama 'Vie d'uscita', in rete con varie associazioni territoriali, per accompagnare le ragazze vittime di tratta sessuale nella costruzione della loro autonomia. Parliamo di ragazze coraggiose, che hanno avuto la forza d'animo di sottrarsi a questo tipo di mercato, ma è solo un primo passo. Hanno bisogno di essere accolte, ritrovino fiducia nelle loro possibilità e questo progetto le accompagna nella ripresa dell'autonomia”.