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“I bulli mi picchiavano mentre gli altri ridevano”

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Domani sarà la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo e per Maurizio D. è molto più di una data simbolica. Ha da poco compiuto 18 anni ma alla maturità fisica non corrisponde quella interiore. E’ uno dei 100 mila giovani italiani isolati che hanno fra 14 e 25 anni, si auto-recludono in camera e vivono fuori dal mondo. Né la psichiatria né la scuola hanno protocolli efficaci per fronteggiare l’eremitismo volontario.  Ma nel caso di Maurizio il fenomeno-hikikomori è l’effetto di una causa inequivocabile: la persecuzione dei bulli.

Come è iniziato il suo calvario?
“Faccio una premessa. Sono diventato maggiorenne, ma non h smesso di avere paura. Sono vittima di bullismo dalla prima media. Mio padre è stato trasferito in Piemonte dall’azienda per la quale lavoro e io e mia madre lo abbiamo raggiunto appena ho terminato le scuole elementari. Siamo arrivati durante l’estate e all’inizio non ho avuto problemi”.

Quando sono cominciati i problemi più gravi?
“Appena sono andato alla nuova scuola. In classe praticamente non potevo parlare perché gli altri ragazzi mi deridevano per il mio accento. “Terrone”, “africano”. Risate e offese finché piano piano ho praticamente smesso di rivolgere la parola a chiunque. A casa non dicevo niente ai miei genitori perché avevo il timore che andassero a protestare con i professori e le cose per me in classe peggiorassero”.

Come poteva ulteriormente peggiorare una situazione del genere?
“Fingevo di fare il duro. Sopportavo in silenzio tutte le prese in giro. Speravo che prima o poi smettessero da soli. Non volevo passare per quello che va a piangere da papà e mamma per farsi difendere dagli insegnanti. Sbagliavo. Se mi fossi opposto subito alle ingiustizie, le cose sarebbero migliorate perché i bulli sono codardi. Attaccano solo chi è debole, isolato e indifeso”.

Poi le aggressioni verbali sono diventate fisiche…
“Sì. Non dimenticherò mai il primo pugno. E’ stato un modo per alzare progressivamente l’asticella della sfida. Prima le risate cattive e sistematiche per qualunque cosa facessi o dicessi in classe, poi gli insulti, i dispetti, le merende buttate a terra e calpestate come segno di sfregio. Poi le botte, le mani addosso, gli sputi”.

Qual era il pretesto?
“Non c’era. Semplicemente perché non reagivo e mi chiudevo in me stesso. Facevano a gara per trovare sempre nuove offese, nuovi modi per perseguitarmi. E’ stato così per tutti i tre anni delle medie. Un incubo.  A un certo punto inventarono pure un gioco crudele. Chi mi sfiorava doveva subito toccare un altro ragazzino altrimenti, dicevano, la sfiga restava a lui. “Maurizio senza risposta”, dicevano. Come se fossi un appestato”.

Ma fuori dalle ore scolastiche, aveva amici?
“No. I miei genitori hanno fatto di tutto per farmi uscire dal mio guscio. Mi hanno iscritto a nuoto, a un corso di arti marziali, a lezioni di musica. Tutto inutile perché tanto, gira e rigira, trovavo sempre qualcuno che stava in classe con me e il bullismo si ripeteva anche nei pomeriggi fuori dalla scuola”.  

Qual è stata la volta che ha avuto più paura?
“In terza media avevamo la palestra in riparazione e per fare educazione fisica dovevamo andare con un pulmino in un altro istituto. Un giorno uno dei ragazzi che mi bullizzava più pesantemente prese in palestra uno dei birilli che usavamo per fare il percorso a ostacoli e me lo tirò mentre l’insegnante era girato. Di episodi così ne potrei raccontare decine. Non era tanto il dolore fisico ma quello interiore. L’umiliazione, l’omertà degli altri studenti, l’indifferenza per la condizione di solitudine e isolamento. Appena suonava la campanella scappavo a casa e mi rintanavo nella mia cameretta a giocare al computer. Era la mia evasione dal dolore”.

Cosa la feriva maggiormente?
“Le risatine delle mie compagne di classe. I bulli mi picchiavano più forte anche per attirare l’attenzione delle ragazzine. Molte di loro a tu per tu mi dicevano di prendermela e che erano degli stupidi a trattarmi male. Poi però quando il branco si accaniva su di me, si voltavano dall’altra parte oppure ridevano in gruppo”.  

Quando è terminata la persecuzione?
“Iscrivermi al liceo è stata la scelta che mi ha salvato. Molti dei bulli sono andati in altri tipi di scuole e pian piano sono riuscito a lasciarmi alle spalle le esperienze peggiori. Ho cominciato a frequentare un gruppo in parrocchia. Finalmente anch'io ho avuto amici veri. E' stato come vedere una lice nell'oscurità. Ho perdonato chi mi ha fatto nel male, ma non potrò mai dimenticare gli anni orribili che ho vissuto alle scuole medie”.

Giacomo Galeazzi: