In un mondo dominato dalla disinformazione, il Giubileo della Comunicazione ha riunito grandi nomi del giornalismo per discutere di come ritrovare la speranza nel racconto delle storie. Maria Ressa e Colum McCann hanno condiviso le loro esperienze e le loro riflessioni, sottolineando l’importanza di un giornalismo che vada oltre le notizie negative e che sia capace di unire le persone, anche quelle più diverse.
Comunicare la speranza
Come comunicare la speranza e con speranza, in un mondo dove le bugie diventano verità, alimentando l’odio attraverso algoritmi e disinformazione? Raccontando le storie che provengono dal basso, da lontano, da chi la pensa diversamente. “Non dobbiamo per forza amarci. Di fatto, non dobbiamo nemmeno piacerci. Ma dobbiamo capirci”, come raccontano due padri, uno israeliano e uno palestinese, che girano il mondo insieme, raccontando la loro filosofia, tanto semplice quanto profonda, che rappresenta il cuore dell’informazione e della divulgazione. Oggi, 25 gennaio, nella suggestiva cornice dell’Aula Paolo VI, hanno preso la parola Maria Ressa, giornalista filippina naturalizzata statunitense e Premio Nobel per la Pace nel 2021, e Colum McCann, scrittore irlandese di fama internazionale, autore di sette romanzi e tre raccolte di racconti premiati con riconoscimenti prestigiosi come il National Book Award e l’International IMPAC Dublin Literary Award. A moderare la conversazione è stato Mario Calabresi, giornalista e scrittore, già direttore de La Stampa e La Repubblica, nonché co-fondatore della società di produzione di podcast Chora Media.
Ruffini: “Tornare alle radici del nostro mestiere”
Il dialogo è stato introdotto da Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione. “Interrogarci su come sperare ancora nella comunicazione tra persone e macchine, su come la tecnologia può e deve essere guidata”, le questioni al centro degli incontri per questo speciale Giubileo, secondo Ruffini. Un ruolo, quello dei comunicatori, che deve sempre essere sospinto dalla “volontà di tornare alle radici del nostro mestiere, alla radice della nostra speranza”.
Il motore dell’informazione
Si può ancora comunicare la speranza? Si può ancora comunicare con speranza? O la nostra è solo una narrazione disperata?”, gli interrogativi di partenza posti da Calabresi. “Il male va raccontato”, ammette il giornalista, ma la sua narrazione non può essere totalitaria, “la sola chiave di lettura del mondo” o “il motore dell’informazione”. Al suo interno infatti, si possono scorgere “segni di resistenza”, che la società sembra essere diventata incapace di cogliere. “Ci deve essere salvezza, ci può essere salvezza”, afferma Calabresi, e il compito di raccontarla spetta ai professionisti dell’informazione. “Il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino”, dice Calabresi, citando il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della comunicazione.
La testimonianza di Maria Ressa
A Maria Ressa, il compito di inquadrare l’attuale momento “di profonda trasformazione del nostro mondo”. Esso è inevitabilmente segnato dalle moderne tecnologie che, quando votate alla sola ricerca del profitto, “distruggono la fiducia” delle persone, causando una generale “epidemia di solitudine”. La censura del libero pensiero è stata parte integrante della sua carriera giornalistica: attraverso il sito giornalistico Rappler e il racconto critico dell’operato del presidente Duterte, Ressa è stata arrestata e condannata per vari capi di imputazione, tra i quali diffamazione. Un totale di dieci, oggi scesi a due. “Per essere qua oggi, ho dovuto chiedere l’approvazione alla Corte suprema filippina. Dici una bugia un milione di volte, e diventa una verità. Se si convincono le persone che le menzogne corrispondono ai fatti, le controlli”, aggiunge, ponendo l’enfasi su un generale tentativo di “manipolazione” che avviene quotidianamente sui media. “Non sono incidenti, è un deliberato disegno”, afferma Ressa, notando come ciò che accade online trascenda la sua dimensione virtuale, “cambiando i modi in cui agiamo, il modo in cui viviamo”. “La violenza online è violenza reale”, sintetizza la giornalista, citando le proteste in Venezuela, Mozambico, Georgia, dove gli oppositori marciano sventolando il libro da lei scritto, How to Stand Up to a Dictator: The Fight for Our Future.
Essere parte di un cambiamento per il bene, guidato dall’amore
Ancora prendendo spunto dall’attualità, la giornalista cita la recente decisione di Facebook di eliminare le sue attività di fact-checking. “Caro Mark”, dice Ressa, rivolgendosi idealmente al Ceo di Meta, Zuckerberg, “non è questione di libero pensiero, è una questione di sicurezza”. Dal Myanmar a Gaza, passando per l’Ucraina e il Sudan, e i conflitti dimenticati in Zimbabwe, Etiopia, Afghanistan, combattuti non solo attraverso le armi ma “con gli algoritmi, la disinformazione, la sistematica distruzione della verità”. “Riconoscete il vostro potere”, è la conseguente esortazione di Ressa, “voi potete essere parte di un cambiamento per il bene, guidato dall’amore”. Conclude citando T.S. Elliot, e la sua idea di “presente” che è già “passato”. “Vogliamo fare del bene adesso, perché quando guarderemo indietro, un giorno, vogliamo dire di avere fatto la cosa giusta”, la chiusa dell’intervento, accolto da un lungo applauso e una standing ovation dei presenti in Aula Paolo VI, a cui Ressa risponde con un commosso sorriso.
L’importanza della nostra identità
Come possiamo promuovere la civilizzazione partendo dalle macerie causate dalla guerra?”, è la domanda iniziale posta da McCann. Una citazione di un dialogo avvenuto tra Sigmund Freud ed Albert Einstein. Lo psicanalista sosteneva che l’umanità avesse un istinto naturale “per l’odio e la distruzione” impossibile da sradicare. A questo oscuro presagio, tuttavia, Freud affiancava un barlume di speranza: “Lottare per la pace e la giustizia non è impossibile”, e qualunque frammento di emozione “che crei legami tra gli esseri umani deve inevitabilmente essere sfruttato per fare fronte ai conflitti”. In sintesi, la comunità globale è chiamata alla ricerca di una “comunione di sentimenti” e una “metodologia di istinti”. Lo scrittore pone l’accento sul valore delle storie, “la colla che ci tiene uniti”, senza le quali “siamo niente”. Risorse ancora più preziose quando provengono da persone con un background non convenzionale. “Quando ignoriamo queste storie” raggiungiamo “il punto cruciale del nostro possibile oscuramento”, capace “di distruggerci, interamente”. “Non possiamo amare il prossimo, perché non abbiamo più nessun prossimo che non sia la nostra stessa persona”, afferma McCann. “Così perdiamo il nostro significato: chiediamoci chi siamo, se corrispondiamo solo a noi stessi.” Il risultato è la “nullificazione” delle storie dei nostri “supposti” nemici. “Un’arma tra le più insidiose” nota McCann, alla quale Einstein sperava potesse fare fronte qualche forma di “governo a livello globale”. Da questa idea, “nacquero istituzioni come le Nazioni Unite”. Esse, tuttavia, per quanto nate da promettenti premesse “non hanno funzionato come avremmo voluto”
Il cambiamento nasce dal basso
Qualche frammento di bene è arrivato, ma ci troviamo ancora vicini all’oscuramento. Le decisioni arrivano ancora dall’alto” Il cambiamento nasce invece “dal basso”. McCann cita due padri, uno israeliano e uno palestinese, che nonostante la perdita dei loro figli nell’ambito dei conflitti in Medio Oriente, “hanno mantenuto la loro amicizia”, e girano il mondo condividendo la loro storia. La loro filosofia “è semplice, ma profonda: non dobbiamo per forza amarci. Di fatto, non dobbiamo nemmeno piacerci. Ma dobbiamo capirci”
(fonte: Vatican News)