Sono slittati per problemi logistici sia la tregua di quattro giorni a Gaza, sia il rilascio dei 50 ostaggi israeliani. Lo scambio con 150 detenuti palestinesi e lo stop degli attacchi per l’entrata degli aiuti umanitari potrebbe avvenire venerdì 24 novembre.
Slittano la tregua a Gaza e il rilascio degli ostaggi
Sembrava fatta: Israele e Hamas hanno raggiunto l’accordo che avrebbe dovuto far scattare la tregua a Gaza e lo scambio di 50 ostaggi israeliani con 150 detenuti palestinesi già a partire da giovedì mattina. Ma in serata è arrivata la doccia fredda: sia la tregua che lo scambio di prigionieri non avverranno prima di venerdì. Hamas aveva annunciato che lo stop ai raid israeliani sarebbe iniziato giovedì alle 10 del mattino (le 9 in Italia) anche se mancavano conferme ufficiali da parte del governo di Gerusalemme.
Il ministro degli Esteri Eli Cohen aveva solo fatto sapere che “secondo il piano concordato il processo del rilascio dei primi ostaggi” sarebbe iniziato anch’esso giovedì. Ore dopo, il consigliere della sicurezza nazionale di Israele, Tzachi Hanegbi, ha però reso noto che l’inizio della liberazione degli ostaggi “non avverrà prima di venerdì”, assicurando che “i contatti per il rilascio dei nostri prigionieri procedono e avanzano costantemente”, ma senza aggiungere altro. Secondo fonti israeliane a Haaretz, però, Hamas non ha ancora ratificato l’accordo raggiunto attraverso il Qatar, né ha fornito a Israele l’elenco dei cittadini israeliani che intende rilasciare. Per questo motivo, l’attuazione dell’accordo è stata rinviata di almeno un altro giorno.
La tregua
La “pausa nei combattimenti”, come la definisce Israele, è la cornice nella quale si concretizzerà il rilascio degli ostaggi israeliani (bambini e donne) in cambio dei detenuti palestinesi (anche in questo caso donne e minori). Lo scambio – secondo quanto si è appreso da fonti di sicurezza egiziane – dovrebbe avvenire attraverso il valico di Rafah, tra l’Egitto e la Striscia. Questa è considerata dalle parti come la “prima fase” dell’intesa, che verte sulla liberazione di circa 10 rapiti al giorno. Ma i 4 giorni di tregua potrebbero diventare 5 se sarà possibile – come prevede l’accordo raggiunto con la mediazione del Qatar, dell’Egitto e degli Usa – scambiare ulteriori 50 ostaggi nelle mani di Hamas e delle altre fazioni palestinesi a fronte di altri 150 detenuti palestinesi, portando così a 100 il numero complessivo dei rapiti rilasciati contro 300 che si trovano nelle carceri israeliane. Questa sarebbe la “seconda fase”.
L’accordo stabilisce infatti la possibilità di estendere la “pausa nei combattimenti” di alcuni ulteriori giorni, se necessario, in base a una decisione del premier Benyamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant. Il ministero della Giustizia israeliano ha già individuato 300 palestinesi candidabili per essere liberati, escludendo quelli che si sono macchiati del reato di omicidio. Hamas, nell’ipotesi che lo scambio vada avanti, deve individuare a sua volta gli altri 50 ostaggi da rilasciare che siano sotto il suo controllo o quello di altre fazioni, a cominciare dalla Jihad palestinese.
Gli aiuti umanitari
Il primo intervallo tra il raggiungimento dell’accordo (nella notte tra martedì e mercoledì) e la sua applicazione era dovuto anche al fatto che su quella lista di 300 detenuti palestinesi indicata dal ministero della Giustizia ogni cittadino poteva opporsi – entro 24 ore – davanti alla Corte suprema. Ma la stessa assise ha respinto in toto – come fece già nel 2011 in occasione dello scambio per la liberazione del soldato Shalit – la petizione avanzata da una ong di destra israeliana. L’accordo prevede inoltre il passaggio di almeno 300 camion dal valico di Rafah di aiuti al giorno diretti a Gaza, compreso il carburante, il divieto per i palestinesi sfollati al sud di tornare al nord della Striscia e anche lo stop, da parte di Israele, del sorvolo dei droni di ricognizione per 6 ore nei 4/5 giorni di tregua. Allo scadere di questo termine, l’esercito israeliano – è stato spiegato – riprenderà in pieno la sua offensiva nella Striscia. L’annuncio dell’intesa per la tregua sembra aver portato riflessi positivi anche al confine tra Israele e Libano, in pratica il secondo fronte di questo conflitto arrivato al 47esimo giorno.
Guterres: “Tutte le risorse per sostenere un accordo di pace”
Fonti di Hezbollah hanno fatto sapere che pur non avendo partecipato ai negoziati per la tregua si uniranno “alla cessazione dei combattimenti”. Mentre in Qatar è arrivato il capo del Mossad David Barnea per definire gli ultimi dettagli dell’accordo e assicurarsi che sia attuato. Il tutto in stretto contatto con il capo della Cia Robert Burns, considerato uno dei personaggi chiave della trattativa assieme al segretario di Stato Antony Blinken che tornerà la settimana prossima in Israele. L’accordo è stato salutato con favore dal mondo arabo, a cominciare dal presidente palestinese Abu Mazen che ha chiesto al tempo stesso “soluzioni più ampie” nel conflitto.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha detto che le Nazioni Unite “mobiliteranno tutte le loro capacità per sostenere l’attuazione dell’accordo e massimizzare il suo impatto positivo sulla drammatica situazione umanitaria a Gaza”. In attesa della tregua, la guerra è continuata sul campo. Israele ha fatto sapere che dall’avvio delle ostilità ha distrutto circa 400 tunnel nella Striscia che erano “sotto strutture civili, inclusi edifici residenziali, scuole, ospedali e altri luoghi“. I morti a Gaza – secondo il ministero della Sanità di Hamas che non distingue tra miliziani e civili – sono invece arrivati a 14.532 con 35.000 feriti e 7.000 dispersi.
Fonte: Ansa