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Etiopia e Libia, la preghiera del Papa all’Angelus: “Dialogo per la pace”

Il Santo Padre rivolge il proprio pensiero ai due Paesi africani: "Le parti operino per la stabilità". E ricorda: "La fede si esercita per opera della carità"

Una riflessione sulla vita eterna che non può dimenticare i contesti di sofferenza quotidiana. Nel suo Angelus domenicale, Papa Francesco si rivolge ai fedeli invitandoli a pregare per quei territori dove l’ombra del virus non è che un’ulteriore variabile di una quotidianità fatta di incertezze e paure. “Seguo con preoccupazione le notizie che giungono dall’Etiopia – ha detto il Santo Padre -. Mentre esorto a respingere la tentazione dello scontro armato, invito tutti alla preghiera e al rispetto fraterno, al dialogo e alla ricomposizione pacifica delle discordie”. E non dimentica la Libia, al centro del “Forum del dialogo politico libico” in programma oggi a Tunisi. “Data l’importanza dell’evento, auspico vivamente che in questo momento così delicato venga trovata una soluzione alla lunga sofferenza del popolo libico. E che il recente accordo per un cessate-il-fuoco permanente sia rispettato e concretizzato. Preghiamo per i delegati del Forum, per la pace e la stabilità in Libia”.

La fede per mezzo della carità

La parabola delle dieci vergini, invitate a una festa nuziale, offre un ulteriore spunto di riflessione legato alla vita eterna. Un filone iniziato con la celebrazione di Ognissanti e che, oggi, il Santo Padre riprende per spiegare come, attraverso questo racconto, Gesù “ci vuole dire che dobbiamo essere preparati all’incontro con Lui”. E “non solo all’incontro finale” ma “anche ai piccoli e grandi incontri di ogni giorno in vista di quell’incontro, per il quale non basta la lampada della fede, occorre anche l’olio della carità e delle opere buone“. Questo perché “la fede che ci unisce veramente a Gesù è quella ‘che si rende operosa per mezzo della carità'”. E questo è ciò che viene rappresentato dalle ragazze sagge della parabola. “Essere saggi e prudenti significa non aspettare l’ultimo momento per corrispondere alla grazia di Dio, ma farlo attivamente da subito, cominciare da adesso”. Occorre quindi cooperare con il Signore sin da ora “se vogliamo essere pronti per l’ultimo incontro” con lui”.

Vivere l’oggi pensando al domani

A volte succede “di dimenticare la meta della nostra vita, cioè l’appuntamento definitivo con Dio, smarrendo così il senso dell’attesa e assolutizzando il presente”. Un rischio che si palese “quando uno assolutizza il presente, guarda soltanto il presente, perde il senso dell’attesa, che è tanto bello, e tanto necessario, e anche ci butta fuori dalle contraddizioni del momento”. Un atteggiamento che “preclude ogni prospettiva sull’al di là: si fa tutto come se non si dovesse mai partire per l’altra vita”. Dobbiamo vivere l’oggi ma quello che va verso il domani, “l’oggi carico di speranza. Se invece siamo vigilanti e facciamo il bene corrispondendo alla grazia di Dio, possiamo attendere con serenità l’arrivo dello sposo. Il Signore potrà venire anche mentre dormiamo: questo non ci preoccuperà, perché abbiamo la riserva di olio accumulata con le opere buone di ogni giorno, accumulata con quell’attesa del Signore, che Lui venga il più presto possibile e che venga a portarmi con Lui”.

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