Maxi operazione antidroga stamane alla periferia di Roma, nel quartiere Tor Bella Monaca. E’ la seconda in pochi giorni: lo scorso 27 aprile vennero arrestate 51 persone. Quella odierna è stata ribattezzata “Alcatraz“.
Operazione Alcatraz
Oggi, i Carabinieri del Comando Provinciale hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip di Roma su richiesta della Procura Direzione Distrettuale Antimafia, che ha portato all’emissione di una ordinanza restrittiva nei confronti di 35 persone, di cui 11 in carcere (tra cui due donne), 10 agli arresti domiciliari e 14 con l’obbligo di dimora.
Sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di far parte di una presunta associazione accusata di essere dedita allo spaccio di cocaina nel quartiere di Tor Bella Monaca, alla periferia della Capitale. Nello specifico, nei loro confronti l’accusa è di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanza stupefacente.
Contro le piazze di spaccio
Si tratta di una nuova indagine, che punta a contrastare le piazze di spaccio nel quartiere. Una vera e propria organizzazione, secondo le indagini dei carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Frascati, gerarchicamente strutturata. Nel corso delle indagini è stata accertata l’efficienza nel mantenere inalterata l’operatività nonostante ripetuti arresti e sequestri di droga in flagranza.
Secondo gli investigatori, i presunti vertici del gruppo avrebbero usato utenze telefoniche fittizie sostituite ad ogni arresto, e fornito contributi economici per la difesa legale del detenuto e per i suoi familiari, creando di una sorta di “ammortizzatore sociale”. I profitti derivanti dallo spaccio, secondo quanto ricostruito dai Carabinieri, si aggiravano sugli oltre 220 mila euro settimanali, con picchi nel week-end, quando ad acquistare la sostanza erano anche giovani che si riversavano, nel periodo precovid, nei locali notturni della zona.
La raffineria della droga
L’organizzazione di pusher poteva inoltre contare su una raffineria della droga. La struttura posta sotto sequestro, in cui veniva confezionata la droga pronta per essere venduta, è stata scoperta dagli investigatori, coordinati dai magistrati della Dda di Roma.
La piazza di spaccio era attiva nella zona di via Camassei con turni attivi 24 ore su 24. Le indagini sono partite dalla base dell’associazione, capeggiata da Marco Maruca, ovvero dai pusher presenti quotidianamente nelle piazze.
In un anno di indagine i carabinieri hanno tratto in arresto 85 persone in flagranza di reato per spaccio e detenzione ai fini di spaccio, sequestrando oltre 4 chilogrammi di cocaina, due hashish e circa 100 mila euro in contanti. Gli inquirenti hanno proceduto anche al sequestro di una tabaccheria ed ad alcune imbarcazioni ormeggiate a Fiumicino acquistati grazie ai proventi dell’attività illecita.
Gip: “Indagine nata da denuncia genitore”
L’indagine della Dda di Roma è nata da una denuncia di un “anonimo genitore”. Il dato emerge dal provvedimento disposto dal gip Pier Luigi Balestrieri. Le informazioni presenti nell’esposto sono state, poi, confermate da un collaboratore di giustizia, che ha riferito di una costante attività di spaccio svolta da un cospicuo numero di persone, tra cui pusher e vedette.
Il ruolo del boss Marco Maruca e della famiglia
Secondo quanto scrive il giudice, a capo del gruppo criminale c’era Marco Maruca. Quest’ultimo era il “promotore ed organizzatore del sodalizio” e gestiva “i rapporti con i fornitori del narcotico impartendo articolate direttive ai suoi più stretti sodali e direttive in merito al taglio e al confezionamento dello stupefacente”.
Il padre di Maruca, Pietro, aveva invece “il ruolo di esattore di somme di denaro provento di spaccio, di percettore in prima persona di alcune dosi di stupefacente, e di consigliere del gruppo; quanto alla sorella Roberta Maruca appare ampiamente coinvolta nelle dinamiche gestite dal fratello svolgendo il ruolo di supervisione della piazza di spaccio con poteri di intervento, controllo e organizzazione dei turni di lavoro, poteri evidentemente riconosciutile dai diversi sodali proprio in ragione del legame familiare esistente con il capo del sodalizio”.