In un’intervista rilasciata a La Stampa e firmata dal giornalista Giacomo Galeazzi, don Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di San Paolo Apostolo del Parco Verde di Caivano, racconta la realtà con cui ogni giorno deve confrontarsi: malati abbandonati negli sgabuzzini, persone che non hanno più fiducia in nessuno. Riportiamo in forma integrale l’articolo pubblicato su La Stampa.
L’intervista di Giacomo Galeazzi a padre Maurizio Patriciello
E’ uno scenario apocalittico quello che affronta ogni giorno don Maurizio Patriciello alla parrocchia di San Paolo Apostolo del Parco Verde di Caivano, nella terra dei fuochi alle porte di Napoli. Il Covid sta falcidiando una delle comunità più povere e abbandonate d’Italia. Don Patriciello, come Fra Cristoro durante la peste descritta nei Promessi Sposi, soccorre i malati che non hanno aiuti. «Rischiano la vita in casa perché nelle farmacie sono esaurite le bombole di ossigeno», racconta alla Stampa.it.
Perché gira per le case del suo quartiere in piena emergenza Covid?
«Perché la gente è totalmente abbandonata e non c’è nessuno che vada a soccorrerla, a dare una mano. Senza bombole di ossigeno si muore in casa da soli, nella disperazione e tra sofferenze atroci. Eppure c’è un modo per fare qualcosa di utile».
Quale?
«Quando le farmacie rilasciano une bombola d’ossigeno, chiedono un recapito. Quindi se non si restituisce la bombola vuota si sa dove andarla a recuperare. E invece nessuno fa niente e non si trovano più in giro questi supporti vitali. Vado in giro a recuperare le bombole di ossigeno vuote per farle ricaricare. Non si può descrivere ciò che trovo».
Cosa trova?
«Il nostro è un quartiere molto popoloso e disagiato. La gente vive in case piccole. Ci sono papà positivi al Covid che vivono chiusi nello sgabuzzino per cercare di non contagiare il resto della famiglia. Non c’è un medico che vada nelle case. Chiamano gli infermieri per una flebo e non trovano nessuno. Si mettono in fila al pronto soccorso in macchina e poi non si sa più niente. Non c’è modo di seguire le condizioni del familiare ricoverato in ospedale».
Riesce a recuperare nelle case le bombole di ossigeno esaurite?
«Sì, ne ho appena trovate cinque. Ho un nostro volontario, Mauro Pagnano, con cui abbiamo per anni lottato per la la terra dei fuochi avvelenata dalla camorra. A casa sua sono tutti positivi. Nel quartiere la gente non ha ossigeno nelle case. Qui un mio amico sacerdote di 60 anni stava morendo in casa. Si è salvato solo perché suo fratello è un avvocato e ha telefonato in ospedale dicendo che se moriva denunciava tutti. Solo a quel punto è arrivata l’ambulanza. Per tutti gli altri non arriva nessuno».
Cosa accade?
«Il livello di saturazione per tanti malati in casa peggiora continuamente e non hanno bombole di ossigeno. Andiamo sotto casa a portare il necessario per sopravvivere e la gente non ha più fiducia in nessuno. Non si aspetta più niente».
Perché?
«In televisione si dice sempre che bisogna denunciare. Qui non lo fa nessuno. Un bambino di 5 anni giocando con l’alcol ha dato fuoco per errore alla casa dove vive con sei fratelli e la madre vedova. Il padre è morto di cancro a 40 anni. Abitazione completamente distrutta e loro salvi per miracolo. E lì ho capito perché nessuno si rivolge all’assistenza sociale: hanno il terrore di vedersi portare via i figli. Io raccolsi subito 10 mila euro di offerte e andai dal commissario straordinario del mio comune sciolto per camorra. Gli chiesi di sistemare la casa e io avrei provveduto al mobilio. Così feci e raccolsi i mobili in una cappella della mia chiesa. Lui scrisse all’istituto case popolari che invece di aiutare la famiglia che aveva perso tutto denunciò alla procura la mamma dei sette bambini perché era abusiva come la maggior parte degli abitanti di Parco Verde. Andai a parlare ai servizi sociali e mi sono sentito minacciare che avrebbero portato via i figli alla madre per metterli in una casa famiglia. Poi ci meravigliamo se ora in pandemia la gente muore in casa senza chiedere aiuto a nessuno? Sono gli invisibili del virus».