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Don Georg rimane in Vaticano ma con funzioni “ridistribuite”

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Nessun congedo” ma solo “una ordinaria ridistribuzione dei vari impegni e funzioni del Prefetto della Casa Pontificia che ricopre anche il ruolo di segretario particolare del Papa emerito”,  dichiara all’Ansa il direttore della sala stampa vaticana, Matteo Bruni, spiegando il motivo delle assenze dell’arcivescovo Georg Gaenswein accanto al Papa negli ultimi appuntamenti, compresa l'udienza generale di questa mattina

Le voci dalla Germania

Papa Francesco avrebbe “congedato” monsignor Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare di Benedetto XVI,  scrive il giornale tedesco Die Tagepost che sottolinea di un congedo “a tempo indeterminato”. Il segretario particolare di Benedetto XVI, rimarrebbe a capo della Prefettura, l'ufficio vaticano responsabile delle udienze pubbliche del Papa, ma è esonerato per poter dedicare più tempo al Papa emerito.

L'ascesa

Da giovane portava i capelli lunghi e ascoltava Cat Stevens. A 47 anni, in maniera non proprio pacifica, ha preso il posto di Josef Clemens, storico segretario di Ratzinger, giusto in tempo per scortarlo sul Soglio di Pietro. Poi, come in un vortice: lo scandalo Vatileaks da cui esce sorprendentemente rafforzato, l’abdicazione-choc di Benedetto XVI, l’elezione di Francesco. E così l’arcivescovo Georg Gaenswein assurge al servizio di due Pontefici. Di quello regnante è il prefetto della Casa Pontificia (carica di reale potere, tutt’altro che onorifica), di quello emerito è ombra e filtro col mondo. Talento acrobatico e doti di resistenza (altrimenti dimostrate sui campi da tennis e nella piscina fatta costruire alla villa di Castel Gandolfo) hanno reso il prestante monsignore un’eminenza grigia della Curia, quasi un terzo papa. Doveva solo essere trait d’union e rasserenante fattore di normalizzazione nella scivolosa stagione del doppio Pietro, invece finisce invariabilmente descritto dai media nell’epicentro di trame, bufere, veleni d’Oltretevere.

Profilo

E’ stato lui a ritirare la firma di Benedetto XVI dall’esplosivo pamphlet sul celibato che, come già per i sacramenti ai divorziati risposati al Sinodo sulla famiglia, ha inevitabilmente catapultato Ratzinger alla guida della fronda tradizionalista, stavolta assieme al cardinale co-autore Robert Sarah, in precedenza con altri porporati anti-Bergoglio come Gerhard Müller e Raymond Burke. “Il Papa emerito non aveva approvato alcun progetto per un libro a doppia firma: si è trattato di un malinteso”, ha scandito Gaenswein. Quanto basta per far ribollire, nella galassia ultraconservatrice, il sospetto di un doppio gioco del servitore di due Pontefici, così abile da dosare sotto traccia all’opposizione interna l’accesso a Benedetto XVI per poi sconfessarla di fronte all’indignazione di Francesco.

Volontà di trasparenza

“Per ruolo e capacità, è la scatola nera dei misteri vaticani dell’ultimo decennio”, tagliano corto nei sacri palazzi. Chi non dubita della sua lealtà è Benedetto XVI, accanto al quale don Georg non ha mai celato una partecipazione affettiva che dice molto della sua personalità e dell’asserita volontà di “essere trasparente come il vetro per non oscurare in alcun modo Benedetto XVI“. Piangeva vistosamente il 28 febbraio 2013 quando insieme (come padre e figlio) Ratzinger e lui hanno lasciato l’Appartamento della Terza Loggia. Altrettanto emozionato, tre settimane dopo, don Georg vi rientrò con Bergoglio togliendo i sigilli, aiutandolo a spingere la porta che non si apriva, accendendo la luce. E mentre Francesco diceva che lo Spirito Santo ha ispirato la rinuncia del suo predecessore per il bene della Chiesa, don Georg appariva davvero commosso.

Oltre ogni protocollo

Sotto i riflettori don Georg accompagna Bergoglio, dietro le quinte mette a sua disposizione segreti e conoscenze degli 8 anni di pontificato ratzingeriano, inclusi dossier in sospeso e torbidi finanziari. È lui il traghettatore tra i due pontificati. Figura del tutto inedita nella storia ecclesiastica: punto di contatto e camera di compensazione tra Papa regnante e quello emerito. Conserva la funzione di segretario di Ratzinger ma al tempo stesso regge la “Pontificalis Domus” del suo successore. Oltre ogni protocollo, don Georg agisce sostanzialmente da cinghia di trasmissione nell’insidiosa epoca dei due Papi. E’ stato lui, per conto di Ratzinger, a gestire il passaggio delle consegne sui temi più spinosi. Nelle intenzioni di Benedetto XVI la presenza (e il consiglio) del presule tedesco era il modo per aiutare e proteggere Bergoglio nei meandri curiali. E’ stato lui a custodire la relazione dei tre cardinali inquirenti Herranz, Tomko, De Giorgi sul furto dei documenti. Nella Sala Clementina ha affiancato il nuovo Pontefice all’atto di omaggio dei conclavisti: il polacco Nycz lo salutò in un ossequioso fuori programma chiedendogli di salutare Ratzinger, il connazionale Stanislao Dziwisz, ex segretario di Wojtyla, no.

Accanto al Papa emerito

Preghiera, lettura e uno sguardo vigile su ciò che lo circonda. Joseph Ratzinger fa vita ritirata, ma senza perdere contatto con la Chiesa e col mondo. La settimana scorsa una tv bavarese ha mostrato la giornata tipo del fragile ma indomito 92enne Benedetto XVI all’interno del monastero Mater Ecclesiae, ritraendone anche i saldi legami con la terra natale. Già il domicilio è controverso. “Giovanni Paolo II l’aveva concepito come un’oasi di preghiera, non come buen retiro post-abdicazione”, spiega il decano dei vaticanisti Gianfranco Svidercoschi, amico e collaboratore di Karol Wojtyla. Passeggiando nei Giardini Vaticani, “Wojtyla vide questo palazzetto disabitato e decise di accogliervi suore di clausura perché non si dicesse più che in Vaticano non si prega. Nessuna traccia di tv né di termosifoni. Ogni cinque anni ruotavano le congregazioni religiose lì ospitate, finché il segretario di Ratzinger, Georg Gänswein non l’ha ristrutturato per farne la dimora del Papa emerito e dei suoi collaboratori”. Ora la voce di Benedetto XVI è sottile e si percepisce con fatica, ma l’intelletto è lucido. Si muove su una sedia a rotelle tra pareti tappezzate di libri, accanto all’inseparabile don Georg.

Aggiustamenti formali

Poiché in Vaticano la forma è sostanza, Ratzinger ha rifiutato l’emblema araldico da Papa emerito ideato per lui dal cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo. Quindi, nessun segno esteriore espressivo della nuova situazione che si è creata con la rinuncia al ministero petrino. Eppure la bufera infinita sui “due Papi” riaffiora in ogni fase accesa del dibattito ecclesiale. La situazione del tutto anomala e senza precedenti di un papato emerito reclama ancora i necessari aggiustamenti formali e sostanziali. Durante il Sinodo sulla Famiglia, Ratzinger ha dovuto smentire una presunta ingerenza contro la riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. “Al momento della rinuncia, avrei preferito farmi chiamare semplicemente “Vater Benedikt”, padre Benedetto, ma ero troppo debole e stanco per impormi”, ha raccontato a un connazionale. Un retroscena significativo, un tratto umanissimo della personalità che contrasta con l’immagine della diarchia in Vaticano e del Papa emerito che continua a manovrare, dal “nascondimento” del monastero, la Chiesa universale, “scavalcando” il Papa regnante. Voci secondo cui “padre Benedetto” all’occorrenza si metterebbe di traverso ai piani del suo successore.

Vita appartata

La sua vita appartata da Papa emerito trascorre serena ma non distaccata nel recinto di San Pietro. Scendendo dal trono, Ratzinger ha mostrato che nessun Papa può credere di essere lui a salvare la Chiesa: folgorante smaterializzazione della figura papale e sublimazione di una funzione di testimonianza. Benedetto XVI ha abbandonato qualcosa che non aveva cercato. “Se scopro chi si ostina a votarmi, lo prendo a schiaffi”, sbuffò al conclave del 2005 il cardinale conservatore Giacomo Biffi. Non conosceva ancora il nome del suo elettore: Joseph Ratzinger. Oggi nel suo studio campeggia la stessa scrivania usata per 65 anni e sulla quale sono stati scritti fondamentali saggi teologici tradotti in tutto il mondo. Poco distante la cappella dove si isola in raccoglimento due volte al giorno e la panchina nei giardini dove gode i raggi di sole delle ore più calde. Tutte le fasi della sua vita sono racchiuse in testi nei quali si immerge per lunghe ore.

Ricordi di famiglia

Pranzo e cena sono parimenti leggeri: i piatti della tradizione bavarese, a seconda dei giorni, sono alternati a specialità della cucina italiana perché insieme risulterebbero troppo pesanti. “Avevo una grande voce, adesso non funziona più. Ogni notte affido la Baviera al Signore, nel mio cuore sono sempre legato al nostro Stato”, dice Joseph Ratzinger. La sua quotidianità è scandita da orari precisi, aperta dalla messa celebrata puntuale col segretario alle 7,30 nella cappella privata, sotto lo sguardo materno dell’immagine più venerata. È la statua della Patrona della Baviera con Gesù in braccio, donata dall’ex primo ministro Edmund Stoiber. Mattina e pomeriggio sono accomunate dalla preghiera e dalla lettura, intervallate da pasti leggeri cucinati dalle Memores domini italiane (le suore laiche di Cl che lo assistevano pure al Palazzo Apostolico e che hanno imparato a cucinare soprattutto dolci bavaresi) e da rare visite di persone care. Il luogo in cui si svolge la sua “pensione” è lo studio affollato di volumi e cimeli-ricordo della famiglia e della patria. Nella residenza, foto dei genitori, dei fratelli Georg e Maria, un dipinto di Sant’Agostino portato con sé dall’arcidiocesi di Monaco e un pezzo di pan di zenzero con la scritta in tedesco “Nessun posto è come la casa”, souvenir dell’Oktoberfest.

Giacomo Galeazzi: