Il ministro della Giustizia, Alfionso Bonafede ribatte alle critiche ricevute per le scarcerazioni di boss: “C’è un confine e un limite a tutto e per me, quel confine, in politica e fuori dalla politica, è rappresentato dalla mia onorabilità, nonché dal rispetto degli altri e della memoria di chi è morto per servire il Paese. Le immagini delle stragi di mafia buttate a caso tra un chiacchiericcio e un altro di improvvisati esperti antimafia, l’alone di mistero intorno al nulla per evocare inesistenti retroscena, sono tutte operazioni che mancano di rispetto proprio alle vittime di quelle stragi e ai loro familiari”.
Vicenda Di Matteo
Francesco Basentini “si era distinto nel proprio lavoro e nel colloquio mi aveva fatto un’ottima impressione. Aveva raggiunto considerevoli risultati a livello di efficienza“, sottolinea Bonafede spiegando perché alla fine scelse Basentini e non Nino Di Matteo alla guida del Dap. “Ora, ciascuno potrà fare le sue valutazioni in ordine al lavoro portato avanti dal Dap in questi due anni“, ha aggiunto il Guardasigilli, ricordando che con Basentini “è stato avviato un piano di riconversione in istituti penitenziari di una serie di complessi ex militari; in queste due settimane, è prevista l’apertura di 3 padiglioni da 200 posti ciascuno a Trani, Lecce e Parma, ed è inoltre previsto, sempre nel 2020, il completamento di altri 2 padiglioni da 200 posti detentivi a Taranto e Sulmona. È stato predisposto un piano per la realizzazione di 25 nuovi padiglioni modulari da 120 posti, per un totale di altri 3000 nuovi posti detentivi”. Non solo: “sono state realizzate oltre 250 sale per videoconferenze giudiziarie in 62 istituti penitenziari ospitanti detenuti in regime di alta sicurezza con una sala regia nazionale”. E in materia di assunzioni, “sono stati immessi in ruolo un totale complessivo di 3931 nuovi agenti. È stato definito il riordino delle carriere con una equi-ordinazione della Polizia Penitenziaria con le altre Forze di Polizia”.
Ruolo equiparabile
In questi quasi due anni, inoltre, “sono stati firmati circa 70 protocolli di lavoro di pubblica utilità per i detenuti“. Nella sua informativa alla Camera sulla mancata nomina di Di Matteo al vertice dell’amministrazione penitenziaria, Bonafede afferma: “Mi convinsi dopo la prima telefonata e, in occasione di quel primo incontro, che l’opzione migliore sarebbe stata quella di riproporre al dottor Di Matteo un ruolo equiparabile a quello che era stato di Giovanni Falcone. Avrebbe richiesto certamente più tempo e avrebbe implicato probabilmente una riorganizzazione del dicastero ma ne sarebbe valsa la pena perché, nel progetto che avevo in mente, gli avrei consentito di lavorare in Via Arenula, al mio fianco”. E, sottolinea Bonafede, “la mafia, che vive di segnali non sarebbe andata a guardare l’organigramma del Ministero per verificare quale ruolo fosse più in alto o più in basso. La mafia avrebbe constatato una sola circostanza: Di Matteo, dentro le istituzioni, lavorava al fianco del Ministro della giustizia”. Nei retroscena giornalistici era stato tirato in ballo anche il premier Giuseppe Conte.
Offesa
Il ministro parla di offesa alla sua onorabilità e alle vittime di mafia: “Si continuano a cercare possibili condizionamenti evocando, in modo più o meno diretto, i vari livelli istituzionali- afferma Alfonso Bonafede-. Una volta per tutte: non vi fu alcuna ‘interferenza’, diretta o indiretta, nella nomina del capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Punto! Non sono disposto a tollerare più alcuna allusione: lo devo a me stesso ma lo devo prima di tutto alla carica istituzionale che mi onoro di ricoprire”. E, precisa il Guardasigilli, “i due decreti legge approvati nel giro di una settimana rappresentano la migliore risposta dello Stato per garantire una stretta sulle richieste di scarcerazione e, contemporaneamente, riportare i detenuti davanti al giudice affinché, visto che il quadro sanitario è cambiato, vengano rivalutate tutte le questioni di salute“.