Riportiamo in maniera integrale la nota del Centro Studi Livatino “Invece di spingere le Asl a commettere un reato, il ministro della salute garantisca le cure palliative”
Quando la Corte costituzionale, con la sentenza n. 242/2019, è intervenuta sull’art. 580 del codice penale – come si legge nella nota diffusa dal Centro Studi Livatino – ha stabilito delle condizioni di non punibilità per condotte di aiuto al suicidio: queste comunque integrano un reato, pur se poi l’autore va esente da responsabilità se il giudice valuta sussistenti le opinabili circostanze indicate dalla Consulta.
Con la lettera di oggi a La Stampa il ministro Speranza sollecita le ASL alla consumazione di quello che resta pur sempre un delitto, pur sottolineando l’assenza di norme che abbiano finora fatto seguito alla sentenza della Corte. Non chiarisce come – riporta la nota -, mancando una legge del Parlamento, dipendenti di una ASL possano aiutare al suicidio e non essere sottoposti a un procedimento penale.
Al tempo stesso egli non menziona un passaggio pregiudiziale prescritto dalla Consulta per ogni procedura ‘legale’ di fine vita: l’avvenuto ricorso alle cure palliative. Se una delle condizioni di non punibilità è che il paziente “sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili”, prima di farlo morire è doveroso provare a lenire quelle sofferenze. Peccato che la legge sulle cure palliative, pur approvata dal Parlamento all’unanimità nel 2010, trovi limitatissima attuazione per carenza di investimenti.
Quindi il ministro della Salute non fa quello che a lui compete – si legge nella nota -, cioè rendere operativa una legge che ha l’obiettivo di alleviare il dolore; e fa quel che a lui non compete, cioè scavalcare il Parlamento a proposito di aiuto al suicidio ed eutanasia, scaricando sulle ASL responsabilità che vanno rigorosamente disciplinate.