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Cosa c'è dietro le nuove minacce dell'Isis

Torna a minacciare l'Isis, annuncia “una nuova fase” e lo fa contro Israele nella giornata in cui il mondo ricorda, fa memoria, riflette sul massacro avvenuto nei campi di sterminio nazisti. Minacce veicolate attraverso il web, le prime indirizzate nei confronti di uno Stato dopo la morte di al-Baghdadi e l'insediamento di al-Qurayshi alla leadership delle milizie del sedicente Stato islamico. Una successione che aveva già di per sé aperto una nuova stagione per le forze jihadiste, particolarmente attive nel Sahel e nel Corno d'Africa e richiamate indirettamente sotto i riflettori mediatici a seguito del periodo di forte instabilità in Medio Oriente dopo l'uccisione di Qasem Soleimani. Le minacce rivolte a Israele – già alle prese con un clima di fin troppo prolungata incertezza politica – risvegliano l'Occidente sul tema Isis, riportando in auge il discorso della smobilitazione di quella che fu la coalizione anti-daesh e allarmando nuovamente gli osservatori della scena mediorientale. Interris.it ne ha parlato con Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della Luiss, dove è professore associato di sociologia del terrorismo nel Dipartimento di Scienze politiche.

 

Professor Orsini, a circa tre mesi dall'annunciata uccisione del califfo al-Baghdadi e dell'avvicendamento di leadership con al-Qurayshi, Daesh e altre milizie jihadiste sembrano aver incrementato la loro azione nel Continente africano, specie nella parte del Sahel e del Corno d'Africa. In questo senso, in che modo vanno lette le minacce fatte arrivare a Israele, inquadrato come obiettivo di “una nuova fase” del sedicente Stato islamico? Nello scenario può essere coinvolto il momento di relativa incertezza politica di Tel Aviv?
“Le minacce contro Israele sono una costante delle organizzazioni jihadiste, ma poi, per fortuna, alle parole non seguono i fatti. Al Qaeda non è mai riuscita a realizzare un attentato in Israele, nonostante sia stata fondata nel lontano 1988. Lo stesso discorso vale per l’Isis, che non ha mai colpito Tel Aviv o Gerusalemme. È possibile che accada in futuro, nessuno può mai essere certo di niente quando si tratta di terrorismo. Tuttavia, l’analisi comparata delle stragi jihadiste dice che non bisogna farsi impressionare troppo dalle minacce contro Israele”.     
Le recenti tensioni in Medio Oriente, in particolare il rischio di smobilitazione della coalizione anti-Isis in Iraq, potrebbero indirettamente favorire la riorganizzazione di Daesh?
“Non credo che l’eventuale smobilitazione della colazione anti-Isis in Iraq possa condurre a una ripetizione del passato. Il numero di attentati potrà forse aumentare, ma il Califfato in Siria e in Iraq non tornerà nelle forme note”.

Trump ha annunciato un piano di pace in Medio Oriente: un'eventuale permanenza dei contingenti che composero la coalizione anti-Isis costituirebbe ancora un deterrente alla riorganizzazione? E in un quadro di contrasto, rientra una maggiore vigilanza sui contenuti veicolati attraverso la rete?
“Gli studi sui processi di radicalizzazione ci dicono che la rete è importante per il reclutamento e la diffusione della propaganda jihadista. Non ci sono dubbi sul fatto che debba essere monitorata. Quanto al piano di pace annunciato da Trump, non influirà sul futuro prossimo dell’Isis”.

Alla luce dell'annunciata “nuova fase”, siamo ancora in una fase di rischio elevato per i Paesi europei?
“Non credo che siamo in una fase di rischio elevato in Europa. Il rischio esiste sempre, ma il suo innalzamento richiede una fase di esaltazione collettiva. Come ho spiegato nei miei libri sull’Isis per Rizzoli, 'l'effervescenza' richiede eventi straordinari come l’abbattimento delle Torri Gemelle o la fondazione di un Califfato in Siria e in Iraq. Per realizzare molti attentati, i simpatizzanti jihadisti devono esaltarsi e non demoralizzarsi, come sta accadendo in questo momento a causa delle tante sconfitte subite”.

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