Due volte finalista olimpico, fra le stelle dell’atletica leggera italiana degli Anni 80, Donato Sabia ha provato a vincere anche la sua ultima corsa. Contro la malattia stavolta, su una pista più lunga e difficile degli 800 metri che, a Los Angeles e a Seul, lo avevano separato dall’alloro olimpionico. Il 56enne di Potenza, l’altra Freccia del Sud, amico e compagno d’allenamenti di Pietro Mennea, aveva contratto il coronavirus ed era per questo ricoverato da due settimane all’ospedale San Carlo di Potenza. Lì ha esalato l’ultimo respiro, lasciando la moglie e due figlie, oltre al dolore per tutti gli sportivi italiani che ai Giochi avevano tifato per lui. Atleta di talento, che per un soffio non riuscì a entrare nell’olimpo dei grandissimi: quinto negli Usa nell’84, settimo in Corea del Sud nell’88, con alle spalle un quinto posto mondiale e un oro europeo in Svezia.
L’uomo del mezzofondo
Il cordoglio arriva anche dalla Federazione italiana di atletica leggera, che ha rilasciato una nota nella quale “il presidente Alfio Giomi, il presidente onorario Gianni Gola, il Consiglio federale, a nome di tutta l’Atletica Italiana, esprimono profondo cordoglio e si stringono idealmente ai familiari in un abbraccio”. Un omaggio che il dramma del coronavirus non consentirà di poter rivolgere di persona. Ma di Sabia resta comunque un ricordo incancellabile, nei suoi 800 metri ma anche per alcuni exploit, come l’esordio fiorentino in cui riuscì a tenere dietro un bi-campione olimpico come il cubano Alberto Juantorena. E sarà un altro cubano, Orestes Rodriguez, a togliergli il primato mondiale sui 500 metri piani (1’00″08). Un record rimasto inavvicinabile per quasi tre decenni, dall’84, quando lo stabilì soffiandolo al campione europeo Hartmut Weber, al 2013.