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Coronavirus. Lo scontro in Europa e l’ipotesi di Draghi premier

Ancora 15 giorni per elaborare proposte economiche per combattere il coronavirus. Ieri sera alla videoconferenza tra i leader europei si sarebbero dovute decidere le strategie per affrontare le conseguenze economiche della crisi del coronavirus. Invece si è consumato un durissimo scontro con l’Italia che ha minacciato di non firmare alcun accordo. Dunque si è deciso di temporeggiare.

Lo scontro ha visto opporsi da una parte Olanda e Germania, dall’altra un gruppo di nove paesi capeggiata dall’Italia, comprese Francia e Spagna, che propongono di adottare Eurobond, ribattezzati “Coronabond”, per affrontare la crisi. Si tratta di un ipotetico strumento finanziario emesso non da uno Stato, ma dai Paesi dell’Unione Europea nel suo insieme. In tal modo si metterebbe in comune il debito tra più Paesi e dunque il rischio sarebbe condiviso. Questo elemento è quello che ha sempre frenato i paesi con i conti in ordine, quelli nord-europei in primis. Angela Merkel ieri sera, al termine del vertice, è stata laconica. Niente coronabond, ma solo il MES, il meccanismo europeo di stabilità. Quello nato in seguito alla crisi economica greca. Il Mes è un Fondo salva-stati che concede prestiti ai paesi in difficoltà a fronte di rigide condizioni. Chi riceve i prestiti si impegna a prendere misure per tagliare il deficit/debito e intraprendere riforme strutturali lacrime e sangue. La Grecia insegna.

Il giorno precedente Mario Draghi era intervenuto dalle pagine del Financial Times con un accorato appello all’Europa. Draghi parla di una tragedia umana di proporzioni bibliche paragonabile alla guerra. “Appare scontato – scrive Draghi – che ci troviamo all’inizio di una profonda recessione” pertanto occorre “intervenire con la necessaria forza e rapidità per impedire che la recessione si trasformi in una depressione duratura con danni irreversibili”. Dunque sono necessari “livelli molto più alti di debito pubblico che diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie”.

Molti rimpiangono in questi tempi l’ex Governatore della Bce per la risolutezza con cui affrontò la crisi economica europea. Molti rimpiangono la politica del “whatever it takes”, qualunque cosa sia necessaria per preservare l’Euro.

Rimpianti che risuonano anche in Italia. Da giorni si fa l’ipotesi di un governo istituzionale guidato proprio da Mario Draghi al quale è bastato un solo articolo sul Financial Times per abbassare lo spread. Adesso non ci sono ancora le condizioni per questa possibilità, specie nel pieno dell’emergenza sanitaria. Ma il problema si porrà già da quest’estate, quando si inizierà a predisporre la prossima legge di bilancio che dovrà essere “monster”, mostruosa. Come dice Draghi la recessione è scontata – e di parecchi punti percentuali -, ma bisogna evitare “ad ogni costo” la depressione. Ecco perché potrebbe essere necessario un governo di unità nazionale che includa i principali partiti presenti in Parlamento. Un siffatto esecutivo dovrebbe poggiare su un nome di garanzia. E qui entra in campo Mario Draghi, che gode di un’autorevolezza in Europa, e non solo, come nessun altro italiano. L’ex governatore è stato evocato negli ultimi giorni da Salvini e Renzi. I 5 stelle hanno bocciato l’idea. Il PD ufficialmente l’ha respinta, ma tra i corridoi del transatlantico l’ipotesi viene presa in considerazione: il timore per la futura recessione economica è seria, molto seria.

Ma per il momento dobbiamo aspettare altri 15 giorni, un’eternità di questi tempi, per vedere cosa deciderà di fare la nostra amata Europa. Forse i nostri leader dovrebbero rileggere ciò che l’ex Governatore Draghi ha scritto appena due giorni fa. “Il costo dell’esitazione potrebbe essere fatale. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni Venti ci sia di avvertimento”.

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