Al via il cinquantesimo giorno dall’invasione russa in Ucraina, in quella che si prevede non essere più una “guerra lampo”. Il Presidente Usa Joe Biden annuncia all’omologo ucraino Volodymyr Zelensky l’invio di altri 800 milioni di dollari di nuove armi e tira dritto sulle accuse di genocidio a Mosca. Abbassa il tiro la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, che si limita a dire che “Bucha, Mariuopol, Kramatorsk sono tutti esempi di violazioni dei diritti umani da parte della Russia in Ucraina. Il presidente parlava basandosi su ciò che ha visto, sulle atrocità compiute da Mosca”.
Nel nuovo pacchetto di armi Usa all’Ucraina ci sono anche dispositivi di protezione individuale contro armi chimiche. Nella lista figurano anche elicotteri Mi-17 e obici. L’invio di mezzi di protezione contro armi chimiche è basato, ha ribadito il Pentagono, “sulle preoccupazioni che abbiamo da tempo che Mosca possa usare armi chimiche”. Una posizione, quella di Washington, che ha provocato l’irritazione di Pechino e Mosca, mentre da Parigi il presidente Macron mette in dubbio l’utilità di una “escalation di parole” per porre fine alla guerra.
Di parere diverso, invece, il premier canadese Justin Trudeau, che per la prima volta evoca il “genocidio” in Ucraina. “Questa non è una guerra, è terrorismo” ha infine incalzato il presidente polacco Andrzej Duda in visita a Kiev. Intanto l’amministrazione Usa, riporta il New York Times, starebbe valutando l’invio nella capitale ucraina di una figura di alto profilo. Non Joe Biden o Kamala Harris poiché per garantire la loro sicurezza dovrebbe essere dispiegato un dispositivo enorme, incompatibile con il teatro di guerra, ma più probabilmente un ministro del governo o un alto funzionario militare. Nessuna decisione, comunque, è stata ancora presa e comunque non verrebbe annunciata in anticipo. In passato, anzi, le visite di funzionari americani in altre zone di guerra sono state annunciate solo dopo il loro arrivo nel Paese o addirittura alla partenza.
A Mariupol situazione umanitaria disastrosa
Nel suo discorso quotidiano, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto che “o la leadership russa cercherà la pace, o come risultato di questa guerra, la Russia lascerà per sempre la scena internazionale”. Un conflitto, insomma, che oltre che sul terreno si combatte a suon di parole.
Dopo che i separatisti filo-russi avevano rivendicato il “totale controllo” del porto – negato da Kiev ma successivamente riaffermato da Mosca – la Russia ha dipinto un nemico ormai alle corde, piegato e sempre più demoralizzato. Al punto che 1.026 militari ucraini si sarebbero arresi, tra cui 162 ufficiali e 47 soldatesse. Secondo il portavoce della Difesa russa, il maggiore Igor Konashenkov, a cedere le armi sono state le truppe “della 36/ma brigata di marines, nei pressi dell’acciaieria Ilyich”, da giorni al centro di un rimpallo via social di appelli disperati e smentite della resa. E ancora una volta, Kiev ha smentito che abbiano ceduto. Anzi, per Zelensky è la stessa Mosca a nutrire dubbi sulla sua capacità di spezzare l’Ucraina.
A Mariupol, dice il sindaco della città, Vadym Boychenko la situazione umanitaria è davvero allo stremo. E di certo questa non è una fake. “I russi hanno distrutto gli ospedali e tutta la città. Questo è un genocidio. Finché resisteremo – sottolinea – resisterà anche l’Ucraina”. E conferma il bilancio di “almeno ventimila” vittime civili e lo sforzo dei russi “di nascondere le prove delle atrocità commesse, utilizzando anche i forni crematori mobili”.
L’offensiva russa continua nel frattempo a puntare sul Donbass, dove continua a bombardare e sta raggruppando le forze per tentare la spallata definitiva e prendere il controllo dell’intero territorio delle regioni di Donetsk e Lugansk.
E’ soprattutto da queste zone che parte della popolazione è già stata “deportata” in Russia, secondo Kiev: oltre mezzo milione di persone, ha denunciato Zelensky, condotte con la forza in regioni remote del Paese, confiscandone documenti e oggetti personali, come i telefoni cellulari, e separando i bambini dai loro genitori per consentire alle famiglie russe di adottarli illegalmente.
Se l’obiettivo strategico si concentra a est, Mosca torna a minacciare anche Kiev, da cui le sue truppe si sono ritirate lasciandosi alle spalle i massacri di Bucha e delle altre città satellite. La Difesa di Putin si è detta pronta a colpire i centri di comando nemici, anche nella regione della capitale, se l’esercito ucraino continuerà nei suoi tentativi di attaccare strutture in Russia.
Missili Neptune colpiscono incrociatore russo
L’incrociatore missilistico Mosca della flotta russa del Mar Nero è stato colpito dai missili ucraini Neptune. La nave è in fiamme. La notizia è stata confermata dall’amministrazione statale regionale di Odessa. Il governatore Maksym Marchenko su Telegram ha scritto che sono state le forze ucraine a colpire la nave con un missile di tipo “Neptune”. “E’ confermato che l’incrociatore Moskva oggi è andato esattamente dove l’avevano mandato le nostre guardie di confine dell’isola dei serpenti”, ha aggiunto, riferendosi all’ormai famoso scambio tra i militari ucraini sull’isola che, alla richiesta di arrendersi da parte delle forze navali russe che li bombardavano, avevano risposto mandandoli a quel paese. Secondo il consigliere presidenziale Oleksiy Arestovych a bordo della nave c’erano 510 marinai russi.
Mosca nega che l’incrociatore sia stato colpito da missili
Il ministero della Difesa russo ha detto che l’intero equipaggio dell’incrociatore Moskva è stato evacuato dopo che nella notte a bordo si è sviluppato un incendio. Kiev afferma di aver colpito la nave, che era stata una di quelle protagoniste del famoso attacco all’isola dei serpenti all’inizio della guerra, mentre Mosca parla di esplosione nel deposito delle munizioni. “L’incrociatore “Moskva” è rimasto seriamente danneggiato come il risultato di una esplosione nel deposito di munizioni provocato da un incendio, l’equipaggio è stato evacuato”, dichiara il ministero russo