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Cinema, allarme distribuzione in piattaforma: “Rischiamo di restare senza film”

Lettera aperta dell'Unione esercenti cinematografici al ministro Franceschini. Il presidente Manuele Ilari a Interris.it: "Blocchi la mercificazione dei film destinati alle sale"

Cinema come i teatri. Un intero comparto culturale costretto a chiudere momentaneamente i battenti a causa della recrudescenza del coronavirus. Una disposizione scattata nonostante i luoghi della cultura abbiano dimostrato di saper contenere la progressione del virus. Ma la fase di emergenza sanitaria ha imposto uno stop, che mira ad arginare la diffusione del Covid-19 ma che torna a pochi mesi dalle riaperture. Eseguite, peraltro, in condizioni complicate, con riduzioni sensibili di pubblico in sala. Ma, se l’arresto delle attività viene preso in atto dalle imprese, subentra una richiesta di garanzie che con il virus non ha direttamente a che fare. L’appello arriva dall’Unione esercenti cinematografici italiani, che scrive al ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, affinché si interrompa “una mercificazione senza controllo dei film la cui uscita era destinata alle sale”. E che, invece, “è già annunciata nella programmazione dei palinsesti delle piattaforme”. Un deterrente non di poco conto, che rischia non solo di privare le sale dei prodotti in programmazione ma anche di quelli utili per la ripartenza. “Se dobbiamo riaprire il 24 novembre – ha spiegato a Interris.it Manuele Ilari, presidente Ueci – è necessario che il prodotto ci sia”.

 

Presidente Ilari, cinema chiusi e industria che torna a subire una battuta d’arresto. Un quadro complicato ma che soffre di una variabile altrettanto grave e forse non troppo tenuta in considerazione…
“Come cittadini condividiamo l’attività che sta facendo il governo per contenere la pandemia. Ma come impresa non siamo entrati nel merito, perché dal nostro punto di vista siamo stati più penalizzati rispetto ad altri settori che potevano essere ugualmente chiusi e che possono magari fare assembramento. La nostra problematica, come è successo a giugno, ha delle ripercussioni. Nel primo lockdown, il Ministero dei Beni culturali ha dato una deroga a tutti i produttori per poter uscire sulle piattaforme. Questo ha fatto sì che al 15 giugno non ci fosse più un film a disposizione e la stragrande maggioranza dei cinema in Italia hanno riaperto solamente a fine agosto. Solo un film è stato messo a disposizione dalle major, nessun grande prodotto per esercizio è stato concesso. E questo si ripercuote sulla ripartenza del cinema. Quello che chiediamo al ministro Franceschini e al governo sono delle certezze. Perché se dobbiamo riaprire il 24 novembre bisogna che il prodotto sul mercato ci sia. Non che ci venga sottratto dalle televisioni, che oggi possono lavorare con prodotti di repertorio”.

Concretamente, quale sarebbe la soluzione oltre alla sospensione della deroga?
“Il Ministero, come ha fatto un provvedimento di chiusura del cinema, avrebbe dovuto congelare il prodotto cinematografico a disposizione e anche quello di prossima uscita. Perché, quando riapriamo, dobbiamo avere un prodotto di partenza e di nuova uscita. Anche perché alle case di produzione servirà del tempo per i lanci pubblicitari. E anche loro, senza una certezza, non vanno a spendere centinaia di migliaia di euro per questo. E’ una questione che non è stata minimamente presa in considerazione. E non solo…”

Dica…
“C’è anche il problema della regolamentazione. Noi siamo un mercato che ogni anno muove milioni di euro e milioni di spettatori. Mi sembra assurdo che non ci sia un regolamento né regole certe. Il governo ha regolamentato già tante attività, come quelle della telecomunicazione e dell’energia elettrica. Non vedo perché non provveda a fare lo stesso per il mercato del cinema e televisivo. Una ripartenza con queste regole è difficile, anche nella programmazione degli investimenti. Se le case di distribuzione escono direttamente sulle piattaforme per noi manca un prodotto di vitale importanza. Anche i film italiani, prodotti con il contributo dello Stato, arrivano a far questo e non si capisce il motivo. Se fai un lavoro per la produzione cinematografica devi rispettare l’uscita in sala”.

Va inoltre considerato che, senza proiezioni, l’intero sistema resta senza introiti. Quali sostegni in questo senso?
“Noi abbiamo fatto un -90% rispetto al box office dello scorso anno. Quello che ci è stato dato dal Ministero è un 15% del fatturato. La cassa integrazione ai dipendenti viene garantita all’80%. Oltretutto ci sono tempi biblici per l’erogazione. Tutt’oggi stiamo aspettando il fondo emergenza: sono passati dieci mesi dalla chiusura. E la nuova comporta che migliaia di cinema sono senza fondi per poter sopravvivere. Noi abbiamo molte imprese, anche familiari, che gestiscono in proprio l’attività e vivono basandosi su quell’entrata”.

L’immaginario collettivo identifica il cinema come un multisala. Ma, anche in grandi città, esistono realtà molto più piccole che già prima della chiusura pativano situazioni difficili…
“Anche perché molti cinema sono in locazione e gli affitti, molto elevati, non sono stati sospesi. E oltretutto non hanno soldi nemmeno per poter vivere. Noi abbiamo anche esercenti con piccoli cinema in comuni di 3 mila abitanti che già faticano ogni anno. Figuriamoci dopo 10 mesi di chiusura”.

C’è il rischio che per qualcuno sia già troppo tardi?
“Dipende da quanto durerà l’epidemia e quanto staremo chiusi. Questo almeno il governo ce lo deve dire perché noi dobbiamo programmare. Chiediamo maggior trasparenza possibile per poter organizzare il nostro lavoro. Se non sappiamo questo, sicuramente ci saranno molte chiusure di locali, anche perché i distributori non ti permettono di lavorare con delle richieste di costi del prodotto troppo elevati. Alcuni esercenti non hanno nemmeno avuto il rimborso della quota che pagano per il film. E questo, in un periodo di emergenza nazionale, mi sembra poco carino”.

Del resto, cinema e teatri non hanno solo disposto attente misure di sicurezza ma, rispetto ad altri contesti, erano anche più gestibili…
“Noi riuscivamo a garantire senza problemi il distanziamento perché, a differenza dei centri commerciali, nei cinema abbiamo persone sedute. Le sedute sono numerate e i nostri operatori tranquillamente posizionavano gli spettatori a distanza di sicurezza. E c’è un altro discorso: all’interno della sala, lo spettatore è in silenzio, non parla. E non c’era nemmeno il problema delle microparticelle. Per questo i nostri locali erano molto sicuri, tant’è che non è stato registrato nemmeno un caso di contagio. E abbiamo fatto cinque milioni di spettatori. Mi sembra un dato molto importante. Poi abbiamo entrate e uscite differenziate. Non ho visto motivo di chiudere dall’oggi al domani, specie dopo un Dpcm uscito solo pochi giorni prima che non aveva toccato i cinema”.

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