Ci risiamo: come tutte le estati, anche quest’anno è tornato prepotentemente a galla il triste fenomeno del caporalato per la raccolta dei pomodori nelle campagne italiane.
Questa mattina all’alba, oltre 50 carabinieri della Compagnia di San Severo e del Nucleo Ispettorato del Lavoro, supportati dal reparto Elicotteri e coordinati dalla Procura di Foggia, hanno dato il via all’esecuzione di arresti per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro in diverse aziende agricole di Foggia e Campobasso.
Sono sette le misure cautelari, tra imprenditori agricoli e un caporale senegalese, tre in carcere e quattro ai domiciliari. E sono cinque le aziende agricole interessate dall’operazione dei militari, tutte riconducibili agli indagati. Le aziende sono state sottoposte ad amministrazione controllata dei beni, mobili e immobili.
La società “schermo”
L’hanno definita una società “schermo”, ovvero una società di intermediazione fittizia di Orta Nova (Foggia) che assumeva, per conto di altre aziende, braccianti agricoli da impiegare nei campi ma che nei fatti non pagava contributi, non forniva strumenti di protezione individuale e non rispettava le regole di di sicurezza sui luoghi di lavoro. Accertata l’assunzione di circa 150 braccianti.
Sono questi i dettagli emersi nell’ambito dell’operazione anti-caporalato compiuta questa mattina tra Foggia e Campobasso. Le cinque aziende agricole sequestrate avevano fatturati complessivi annui che si aggirano intorno ai due milioni di euro. Sequestrati inoltre beni mobili e immobili per un valore complessivo un milione di euro.
La denuncia dei lavoratori
Le indagini hanno preso spunto dalla denuncia sporta nel marzo 2020 da due lavoratori africani. I Carabinieri hanno poi accertato che i braccianti venivano reclutati dal caporale nei ghetti di Borgo Mezzanone e nel Gran Ghetto di Rignano, dove vivono migliaia di stranieri che lavorano nei campi del Foggiano.
“I migranti erano sottoposti a turni di lavoro estenuanti senza cibo e, addirittura, invece di acqua potabile veniva data loro acqua di pozzo, anche nelle ore più calde della giornata”, racconta il maggiore dei Carabinieri Ivano Bigica.
I braccianti venivano pagati 5 euro l’ora oppure a cottimo, 4,5 euro a cassone riempito di pomodori. Molte volte venivano filmati per registrare eventuali inadempienze sul lavoro, precisano gli investigatori, come “pomodori lasciati sporchi o cassette posizionate in maniera errata a bordo dei furgoni”, così da decurtare l’inadempienza dalla loro paga giornaliera.