I numeri non mentono: la spesa sociale negli enti locali scende al ritmo del 2,5% ogni quattro anni, invece a livello centrale i tagli sono rappresentati da percentuali a due cifre. I Fondi nazionali per gli interventi sociali distribuiti alle Regioni per i servizi del territorio, infatti, sono diminuiti passando dagli oltre 3 miliardi del 2008 ai 229 milioni del 2012 con unāinversione solo nellāultimo biennio (questāanno circa 1 miliardo). Anche il Fondo per le politiche sociali arretra dal miliardo e mezzo del 2008 fin quasi a zero (10 milioni) nel 2012, per risalire poi a circa 300 milioni questāanno. In sostanza, secondo i dati elaborati dal dipartimento politiche sociali della Cisl, anche i prossimi due anni saranno di magra: la previsione nei fondi strutturali per il sociale per il 2015 ĆØ di appena 294 milioni e nel 2016 ancora meno, 194 milioni.
Pure se si volge lo sguardo al passato dei Comuni non si vedono felici sorprese, al massimo qualche sindaco o governatore illuminato che sul sociale ha scelto di metterci la faccia. Anche perchĆ© ĆØ la diseguaglianza il āmostroā con cui le famiglie devono quotidianamente confrontarsi. La spesa sociale dei Comuni ā circa il 15% del totale – ĆØ infatti sempre piĆ¹ al ribasso, calata del 2,5% tra il 2009 ed il 2012, e si attesta intorno ai 7 miliardi e 700 milioni nel 2012 (con punte di riduzione di un quarto in Calabria e di un quinto in Campania). CioĆØ meno di 130 euro allāanno per ogni cittadino. La spesa sociale, perĆ², diminuisce nonostante un lieve aumento nel quadriennio della spesa corrente totale. CosƬ, secondo lāindice di propensione al sociale pensato dalla Cisl (ĆØ pari al rapporto tra spesa complessiva e spesa sociale), i Comuni hanno ridotto la loro quota di spesa per il welfare passando dal 15,4% delle uscite comunali dellāanno 2009 al 14,7% del 2012. Pur a fronte di una spesa complessiva diminuita in quegli anni del 4,4%.
Ma le conclusioni a cui si arriva sono anche altre. A metterle a sistema Emanuele Padovani, docente di Public management allāuniversitĆ di Bologna, tra gli esperti che hanno spulciato i bilanci comunali. Alla fine della sua analisi sui conti degli enti locali perciĆ², sottolinea, che ādove cāĆØ maggiore attenzione al welfare locale generalmente si ĆØ in presenza di buona salute finanziariaā, anche se non cāĆØ, in linea di principio, unāincompatibilitĆ tra piĆ¹ welfare e conti in rosso. CosƬ le amministrazioni in buona salute finanziaria sono anche quelle che hanno piĆ¹ alta propensione al sociale (1126), come le altrettante che hanno bilanci in rosso (1128) mostrano una bassa propensione al sociale. Ovviamente si puĆ² discutere se il rapporto di causa-effetto sia in una direzione (piĆ¹ rigore, allora piĆ¹ welfare) o nellāaltra (piĆ¹ welfare, allora piĆ¹ rigore). Forse, piĆ¹ probabilmente, ipotizza il docente bolognese, āvi sono altre cause che generano contemporaneamente piĆ¹ welfare e piĆ¹ rigore di bilancioā. Tuttavia ĆØ evidente che non solo non cāĆØ inconciliabilitĆ fra i due elementi che spesso, nella vulgata politica e popolare, sono messi in contrapposizione. āAnzi, il rigore di bilancio ā conclude – sembra un elemento compresente nelle situazioni virtuose dal punto di vista di attenzione al welfareā.
Buoni e cattivi. Per una volta, perĆ², non cāĆØ la solita dicotomia nord-sud, ma nella lista dei territori piĆ¹ virtuosi, ad esempio, spicca la Puglia, lāunica regione che negli ultimi anni ha fatto salire nei bilanci dei suoi Comuni in maniera sostanziosa ā oltre il 14% – la spesa per il sociale. Ad un trend medio in discesa di quasi un punto percentuale annuo delle risorse impegnate dai Comuni per i bisogni di famiglie e anziani, tuttavia, si ritrova la tradizionale composizione a macchia di leopardo con picchi fino a -26,6 per la Calabria e -19% per la Campania. Andamenti in controtendenza nelle regioni, oltre la Puglia giĆ ricordata, anche nel Lazio (+9,9%), in Friuli-Venezia Giulia (+8,3%) e in Sardegna (+4%). Inoltre, persino territori considerati tra i migliori per i servizi in Italia, come la Lombardia, hanno visto scendere la spesa per il sociale in 4 anni (2009-2012) del 5,5%. In linea di massima, comunque, la maggior parte dei Comuni del sud spendono meno in sociale; infatti in Molise, Calabria, Basilicata e Campania la propensione al sociale resta sempre sotto lā8%. Non ĆØ difficile perĆ² trovare, va precisato, Comuni in tutte le aree geografiche grande variabilitĆ di attenzione al sociale.
A voler generalizzare, si puĆ² dire che i Comuni sotto i 15mila abitanti hanno una minor propensione al sociale (13,8% quelli fino a 15mila, ma soprattutto quelli sotto i 5mila soltanto allā8,2%). La scarsa considerazione al sociale dei micro enti viene spiegata – nellāanalisi sui bilanci pubblici di Emanuele Padovani – dal fatto che le poche risorse sono assorbite piĆ¹ dai costi per far funzionare la macchina comunale che dai servizi diretti alla collettivitĆ . Lāandamento complessivo? Calo generalizzato dalle Alpi allāEtna. Il nord-est tuttavia, anche se con un trend negativo, si conferma leader di allocazione della spesa per il sociale (18% nel 2012), sostenuto dal Friuli-Venezia Giulia (26,4%) e dallāEmilia-Romagna (18,9%); altre regioni che figurano sul podio al di fuori del nord-est sono invece la Sardegna (26,4%), la Lombardia (16,7%) e le Marche (16,1%).
Pietro Cerrito
Segretario Confederale Cisl
Dipartimento politiche sociali