L’agguato nel quale è stato ucciso il boss Giuseppe Dainotti ha portato le lancette dell’orologio indietro nel tempo. Alla seconda guerra di mafia, scatenata dai Corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano nel 1981 e terminata con l’annientamento della vecchia guardia. Oggi come allora Palermo si è risvegliata tra lampeggianti e sirene, lenzuola bianche e chiazze di sangue e già qualcuno s’interroga se quest’omicidio non sia il casus belli di una nuova stagione di stragi.
Di sicuro, al momento, c’è solo la certezza che la mafia non è stata ancora sconfitta. Si muove in modo più prudente, preferisce il silenzio al rumore, dalla strada è salita nei Palazzi, si è resa invisibile e forse, per questo, è ancor più pericolosa. E negli anni è stata affiancata da organizzazioni altrettanto temibili, spesso frutto dei fenomeni migratori, che hanno consentito al crimine di superare la tradizionale tripartizione Camorra-Cosa Nostra-‘Ndrangheta. Fenomeno che, unitariamente considerato, è stato battezzato col nome di “Pentacamorra“, cui l’Ansa tempo fa ha dedicato un focus approfondito.
I boss del Vodoo
Tra i nuovi clan un posto di rilievo è stato assunto dai “cultisti nigeriani“. Sono specializzati nello spaccio, nel racket e nello sfruttamento della prostituzione: solo per quest’ultima attività il giro d’affari calcolato è di quasi due miliardi, reinvestiti nell’acquisto di armi e droga. A Ballarò (storico quartiere di Palermo) uno dei loro gruppi, i “Black Axe“, è il braccio armato della Cosa Nostra palermitana: le loro spedizioni sono a colpi di asce e bottiglie e solo qualche mese fa sono arrivati i risultati di una prima operazione che ne ha decimato i vertici. Per entrare nei ranghi i boss eseguono sul futuro affiliato un vero e proprio rituale Vodoo. Hanno un’organizzazione piramidale protetta da una rete di omertà rafforzata da suggestioni esoteriche e minacce di ritorsioni: in cima ci sono i “lord“che rappresentano i vertici nazionali, divisi in “consigli degli anziani” e dai “direttori operativi“. I “butchers“, i cosiddetti macellai, sono invece i picchia duro impegnati nei “match“: irruzioni a colpi di bastone, machete e torture. Alle donne è affidata la gestione delle prostitute, oltre diecimila in Italia, e dei “boys” tuttofare.
Latinos
Le gang latinoamericane sono forti soprattutto nel Nord Italia, in particolare a Milano e in Liguria. Da qualche anno le pandillas – i singoli gruppi all’interno dell’organizzazione, formati da decine di persone – investono nelle rapine e nello spaccio di droga. I soldi guadagnati vengono gestiti dai boss. E ci si arma anche con qualche pistola rimediata, fino ad allargare il giro ai non latinos: al supermarket del degrado è facile arruolare anche filippini, marocchini e italiani. Si entra nel gruppo con una gara di resistenza ai calci sferrati dai membri per qualche minuto e poi si giura fede alla propria banda e odio agli rivali. I regolamenti di conti sono all’aperto, in metropolitana o in ferrovia. Se si sfugge alla punizione, un membro della famiglia rischia grosso con stupri e violenze. Se prima sembravano gang di ragazzini attratti dall’appartenenza malavitosa nello stile dei bassifondi newyorkesi, adesso i capibanda entrano a contatto con livelli criminali più alti.
Dalla Cina con furore
Delle mafie di origine straniera quella cinese è forse la più antica. Negli ultimi anni ha conquistato anche il mercato di alcuni tipi di droga (come le metanfetamine) venduta anche a 300 euro al grammo. L’affare più redditizio resta, però, il gioco d’azzardo gestito dalle bische asiatiche, spesso divise in stanze che distinguono clienti cinesi e italiani. E poi ci sono il commercio, la prostituzione e il racket interno: alcuni mesi fa gli incendi che hanno devastato una serie di negozi cinesi a Massa Carrara hanno acceso le ipotesi sulle possibili infiltrazioni della mafia orientale nel territorio apuano, ma anche in Lombardia e Lazio oltre alla Toscana.
Da ladri a boss
Molto pericolosa, e attiva soprattutto nel Lazio e in Puglia, è la Organizacija georgiana. E’ composta, per lo più, da ex detenuti delle carceri russe. I boss sono i “ladri in legge” (vory v zakone) e da anni fanno affari principalmente con la ‘Ndrangheta. Gran parte dei bottini di furti e rapine – messi a segno con tecniche rapide ed efficaci – confluiscono nel fondo di investimento di ogni clan. Il secondo passo spetta poi alla componente esperta in finanza, che ricicla miliardi all’estero: è una sorta di succursale della mafia russa, che fa affluire soldi attraverso compagnie di spedizioni o società di agenzie turistiche collegate a Mosca, tanto che alcuni loro investimenti hanno coinvolto in passato le compagnie di tycoon russi. Ma le decisioni spettano sempre solo al consiglio criminale della shodka.
Foggia violenta
La “Società foggiana” è considerata la più pericolosa tra le mafie italiane in ascesa. Storicamente nasce dalle ramificazioni in Puglia della camorra campana, in particolare quella che negli anni ’80 faceva capo a Raffaele Cutolo e alla sua temibile Nco (Nuova Camorra Organizzata). Ha ormai consolidato la presenza a Foggia ed ha i suoi quartieri generali nella provincia, a Cerignola e San Severo, fino ad espandersi annettendo anche la cosiddetta mafia del Gargano. Il nucleo criminale è composto da qualche centinaio di persone, ma continua a fare proseliti tra i giovani. E’ una delle organizzazioni criminali che spaventa di più ed ha all’attivo già quasi un centinaio di omicidi. Oltre alla droga e alle estorsioni, le nuove frontiere commerciali sono quella edile e vitivinicola, come documentano alcune operazioni degli ultimi anni. La loro aggressività ha scoraggiato ogni possibile avanzata sul territorio della Sacra Corona Unita, ormai relegata alla zona del Salento.