Buttereste – ad averceli – 750 miliardi di dollari nel cassonetto? Oppure quasi un miliardo e mezzo di tonnellate di cibo nel cestino della spazzatura? Se avete risposto il classico e sbrigativo “nemmeno per sogno” sappiate che lo state già facendo. E mentre vi commuovete vedendo su qualche social network la foto di un bambino che porta addosso i segni della malnutrizione, state virtualmente gettando ogni giorno un piatto di pasta sotto al lavello. Ai poveri non vanno neanche le briciole, pure a cercarle con la lente d’ingrandimento.
Uno studio della Fao dal titolo “Rapporto sulle conseguenze ambientali dello spreco di prodotti alimentari”, presentato dal direttore generale Josè Graziano de Silva, toglie il velo su una delle più grandi ipocrisie del nostro tempo. La falsa carità mista ad indifferenza, la difficoltà – o meglio la poca voglia – di cambiare le nostre abitudini per ridare una speranza a chi muore di fame. Expo 2015 in questo non fa differenza: tante parole, perfino documenti sottoscritti, ma che hanno poi bisogno di essere messi in pratica dai governi per diventare efficaci. E così non è. Piuttosto è evidente lo sfarzo, la possibilità di lucro per le grandi multinazionali e – in maniera occulta – per la criminalità. Quanto di più distante dalle esigenze degli ultimi della Terra.
Secondo la Fao dunque, il cibo buttato via inutilmente, nei vari passaggi dal campo alla tavola, ha un costo economico stimato in 750 miliardi di dollari, pari a 565 miliardi di euro. Il volume complessivo degli alimenti sprecati ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate. Gettare il cibo ha risvolti non solo economici, ma anche ambientali. Per produrre generi alimentari destinati a finire nella spazzatura si emettono 3,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, più del doppio delle emissioni Co2 causate dai trasporti su strada degli Stati Uniti.
A risentire negativamente dello spreco di cibo sono anche il suolo, l’acqua e la biodiversità. L’agricoltura intensiva, per esempio, diminuisce la fertilità dei terreni e richiede, a lungo andare, il ricorso a fertilizzanti chimici, che provocano inquinamento e riducono l’estensione dei terreni coltivabili. Ogni anno, inoltre, 1,4 milioni di ettari di suolo sono impiegati per produrre colture che non finiranno mai in tavola: si tratta di una superficie pari all’intero territorio della Russia e al 28% del suolo agricolo mondiale.
Il discorso non cambia per l’acqua, della quale si sprecano 250 chilometri cubi all’anno, una quantità sufficiente per riempire l’intero lago di Ginevra. Come se non bastasse, sono 9,7 milioni gli ettari di bosco distrutti tutti gli anni per produrre generi alimentari che in buona parte andranno sprecati: si tratta di un dato che influisce in modo devastante sulla biodiversità del nostro pianeta. Neanche i pesci sono esenti dalla follia dello spreco: il 70% degli esemplari raccolti con la tecnica della pesca a strascico sono poi ributtati in mare; morti però.
Lo studio Global Food Losses and Food Waste (Perdite e spreco alimentare a livello mondiale), si sofferma anche sull’Italia: si calcola che ogni anno 5 milioni di tonnellate di prodotti alimentari finiscano nella spazzatura. In valore, si parla di una cifra attorno agli 8 miliardi di euro (pari a mezzo punto di Pil).
Certo bisogna distinguere il dolo dei governanti dalla colpa – che pure esiste – dei cittadini. Le cause più frequenti che vengono individuate infatti sono le cattive abitudini di persone che non conservano i prodotti in modo adeguato. Ma anche le date di scadenza apposte sugli alimenti, che fanno sì che il venditore o il consumatore si disfino del prodotto che ha superato la data di consumo (spesso solo “preferibile”). O le promozioni, che spingono i consumatori a comprare più cibo del necessario.
Fatta 100 la quantità complessiva, a livello mondiale, di cibo sprecato nelle varie fasi della catena dalla produzione alle nostre tavole, ecco le stime della Fao, in percentuale e in milioni di tonnellate: 510 milioni di tonnellate si perdono durante la produzione agricola, 355 milioni nelle fasi immediatamente successive alla raccolta, 180 milioni di tonnellate durante la trasformazione industriale, 200 milioni durante la distribuzione, 345 milioni li spreca il consumatore, a livello domestico e nella ristorazione. Uno schiaffo all’intelligenza umana, prima ancora che alla solidarietà. Numeri di cui vergognarsi.