Sul suo letto d’ospedale, immobile, Vincent Lambert non lo sa ma il suo cammino lungo “il miglio verde” è già cominciato. E’ bastato il colpo di martello risuonato nelle austere aule della corte dei diritti Umani di Strasburgo per sancire il percorso che lo porterà verso l’aldilà. Una “dolce morte” secondo molti. Quasi a voler indorare la pillola all’opinione pubblica per consentirle di pulirsi la coscienza. Ma la verità è un’altra: Vincent morirà di fame e di sete, sarà privato di quelle sostanze nutrienti, che da 7 anni non può assumere da solo, fino a quando il suo fisico cederà all’inedia. Questo il destino stabilito dai magistrati della Cedu che ieri hanno chiuso un caso doloroso e drammatico. Non solo per la tetraplegia che ha ridotto Lambert a un vegetale ma anche per la lacerazione della sua famiglia: da una parte la moglie Rachel e due dei suoi 7 fratelli, a chiedere di staccare la spina, dall’altra gli altri 5 e i genitori, a correre freneticamente da un’aula di giustizia all’altra invocando la grazia per un ragazzo di 38 anni già condannato dalla sfortuna. Uno schiaffo alla dignità di un giovane conteso, studiato e analizzato per capire se provasse dolore, emozioni, coscienza di sé, il tutto al fine di stabilire se dovesse vivere o morire. Un’esistenza finita in un impietoso vortice di carte bollate, sentenze, ricorsi mentre lui era sempre lì, non più artefice del proprio destino, affidato alla pietà o al cinismo di altri.
Il suo calvario inizia nel settembre 2008 quando Vincent, infermiere, è vittima di un terribile incidente mentre è alla guida della sua motocicletta. Dopo il trasporto al pronto soccorso la diagnosi è impietosa: non potrà più muoversi, alimentarsi, espletare da solo i suoi bisogni fisici. I medici spiegano ai familiari che il proprio congiunto resterà per sempre in uno stato di coscienza minima. Una condizione diversa da quella vegetativa: il paziente in questi casi può, infatti, manifestare comportamenti e piccole reazioni, ma è impossibile stabilire se li comprenda. Vincent di sicuro muove gli occhi e avverte dolore. Lo stesso dottor Eric Kariger, a capo del reparto cure palliative dell’ospedale di Reims e promotore assieme alla moglie dell’infermiere dell’istanza per l’eutanasia, ha ammesso che, nonostante la paralisi totale, “il suo corpo esprime delle emozioni”, anche se, ha proseguito “lui non può comprenderle”. Affermazione che già di per sé sembra una contraddizione in termini. In Francia questa spinosa questione della bioetica è regolata dalla legge Leonetti, che prevede il divieto di accanimento terapeutico se il paziente lo abbia espressamente richiesto nel momento in cui era totalmente capace di intendere e di volere. Ove questo non avvenga, ed è il caso di cui stiamo parlando, la sospensione del trattamento può essere autorizzata a seguito di un consulto fra medici e familiari.
Così a inizio 2013 l’equipe di Kariger decide di non proseguire con l’alimentazione artificiale con il consenso della signora Lambert. Ma nella scelta non vengono coinvolti il padre e la madre del malato, i quali si appellano al tribunale amministrativo di Chalons-en-Champagne e l’11 maggio ottengono l’interruzione del protocollo. Il caso, nel frattempo, diventa di dominio pubblico e divide i francesi. Se ne parla sui giornali, in televisione, nei dibattiti politici, il tutto mentre il giovane è sempre lì, immobile e inconsapevole di essere diventato, suo malgrado, un caso nazionale. Lo scorso settembre si riunisce una nuova commissione di esperti che a maggioranza vota a favore dell’eutanasia. I genitori, disperati, si rivolgono nuovamente al giudice amministrativo e ottengono, ancora una volta, una pronuncia favorevole. I magistrati ritengono che continuare il trattamento “non è né inutile né sproporzionato ed ha come unico fine il mantenimento in vita” di una persona considerata “disabile” e “non in fin di vita”.
Ma nemmeno l’operato della giustizia scongiura la corsa di Lambert verso la morte. La moglie e due dei suoi fratelli presentano ricorso al Consiglio di Stato che accoglie le richieste del procuratore Keller, annullando la decisione proveniente da Chalons-en-Champagne. I giudici di Parigi non hanno dubbi: l’uomo non potrà mai più recuperare e l’alimentazione artificiale non potrà portargli alcun beneficio. Tranne quello di continuare a vivere, s’intende. I genitori non demordono e si rivolgono alla Corte di Strasburgo. Una mossa rischiosa visto che, nei giudizi davanti alla Cedu, manca una base giuridica certa come può essere quella di un ordinamento nazionale. E infatti perdono. “E’ uno scandalo, sono triste, ma ci batteremo ancora” ha commentato a caldo la mamma del malato, pur sapendo che oltre Strasburgo non c’è niente. Nessun tribunale cui rivolgersi, nessuna speranza cui attaccarsi per mantenere vivo il figlio. Dall’altra parte il dottor Kariger ha esultato per una decisione che viene definita un “piccolo passo per Vincent e un grande passo per l’umanità”. Ma questa non è la Luna: sono le ultime ore di un ragazzo che non ha mai chiesto di morire.