Altre 26 vittime in una manifestazione pacifica in Venezuela. La Chiesa intera oggi si ribella “La protesta civica e pacifica non è un crimine – affermano i vescovi venezuelani con un twitter -. E’ un diritto! Non può essere controllata da una repressione senza misura”. Proprio un anno fa, nel messaggio della Domenica di Pasqua, Papa Francesco aveva invocato la pace “sul popolo venezuelano nelle difficili condizioni in cui si trova a vivere e su quanti hanno in mano i destini del Paese, affinché si possa lavorare in vista del bene comune, cercando spazi di dialogo e collaborazione con tutti“.
Crisi
Dodici mesi dopo l’escalation di violenza è diventata sempre più grave anche se nessuno può parlare. Dopo il golpe giudiziario che ha portato alla concentrazione di tutti i poteri in mano al governo di Maduro, si è accentuata la forte repressione contro ogni forma di manifestazione e dissenso. In sintesi tutti coloro che non sono d’accordo con il sistema politico sono perseguitati, incarcerati o peggio ancora spariscono e sono uccisi nel totale anonimato. Sembra che il governo voglia controllare tutti per mantenere la sua stabilità. Addirittura alcune personalità sono controllate tramite il telefono o personalmente. Sui palazzi ci sono cecchini pronti a sparare sulla folla durante le manifestazioni. E non sono mancate anche casi di sparizioni forzate. Ci ricordano evidentemente i desaparecidos di Argentina e Cile degli anni ’70 quando i regimi militari mettevano a tacere chi vi si opponeva torturandolo per mesi e di frequente assassinandolo, facendone sparire il corpo nell’oceano. E queste sparizioni non esclusero neppure donne in stato di gravidanza e nemmeno minorenni.
Fosse comuni
In Venezuela lo scorso 29 novembre furono ritrovati in una fossa comune i corpi di dodici giovani, dopo che il 15 ottobre in venti erano stati catturati durante le cosiddette “Operazioni per la liberazione del popolo”. A marzo inoltre la Conferenza episcopale venezuelana ha preso posizione dopo il ritrovamento di 15 cadaveri all’interno di una sepoltura nella Penitenciaría General de Venezuela, un carcere chiuso da qualche mese nello Stato di Guárico.
Terrore
La gente ha paura di parlare. E chi parla vuole rimanere in anonimato. La crisi costringe in molte aree del Venezuela a lunghe file per acquistare quegli alimenti basilari rimasti: riso, farina, fagioli. In molte famiglie si riesce a malapena a mangiare una volta al giorno. C’è chi percorre decine di chilometri per poter recuperare altri prodotti per il fabbisogno della propria famiglia nei supermercati oltre confine. Ma è pericoloso anche questo approvvigionamento perché c’è chi è pronto ad assalire, come in una vera e propria imboscata stile Farwest – e a volte anche ad uccidere – l’auto piena di provviste.
Chiesa in pericolo
In questo Paese affamato e stremato la repressione governativa continua contro la popolazione che manifesta per la gravissima crisi politica ed economica in corso. E anche contro al Chiesa. Durante una messa celebrata dal cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, il 12 aprile scorso con la processione della statua di Gesù Nazareno, un gruppo organizzato ha fatto irruzione interrompendo la celebrazione con canti e slogan.
Denuncia
Monsignor Diego Padrón Sanchez, arcivescovo di Cumanà e presidente della Conferenza episcopale del Venezuela, non ha esitato a denunciare le violazioni dei diritti umani fondamentali chiedendo la pressione internazionale sul governo di Maduro e i “colectivos” che lo difendono e ad esprimere chiaramente la posizione della Chiesa. Da una parte si promuove nelle comunità più povere la “Olla solidaria” (pentola solidale) in cui riunirsi per condividere il cibo, portando ognuno qualcosa per superare la fame che è un problema molto concreto e quotidiano. Dall’altra continua l’accompagnamento del popolo che protesta contro la situazione politica, come il disconoscimento dell’Assemblea nazionale e il dominio del Tribunale supremo su tutti gli altri poteri. Ogni manifestazione pacifica e resistenza interna va sostenuta però dall’appoggio della comunità internazionale.
Il Papa ha fatto arrivare al cardinale tutto il suo sostegno e l’attenzione del Vaticano alla situazione del Venezuela. L’unica via rimane la protesta pacifica Dobbiamo sfidare il controllo del governo con grande coraggio e libertà – sostiene Mons. Sanchez. La Chiesa lo sta facendo, parlando con molta libertà. Ma c’è in gioco la vita di molti uomini e donne di buona volontà e per questo 12 Paesi latinoamericani hanno chiesto proprio al Vaticano di riprendere la mediazione con il governo venezuelano che rimanda ostinatamente le elezioni politiche mentre continua a costruirsi una rete di consensi con l’uso della forza.