Prima dell’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio, il nome e il luogo di Casa Santa Marta non erano affatto così conosciuti come lo sono oggi. La scelta dell’attuale Papa di risiedere in questo angolo del Vaticano, nonché di rendere pubbliche le omelie delle sue Messe quotidiane celebrate nella cappella di Casa Santa Marta, hanno reso noto questo edificio alle spalle della basilica di San Pietro.
Memoria liturgica di Santa Marta
Oggi, 29 luglio, in occasione del giorno in cui la Chiesa ricorda Santa Marta, l’operosa sorella di Maria e di Lazzaro, l’Osservatore Romano propone ai lettori un pregevole approfondimento sulla storia sconosciuta ai più dell’attuale residenza di Papa Francesco. Autrice dell’articolo è l’architetto Ilaria Delsere, che ha scritto un libro sul tema dal titolo La chiesa e l’ospedale di Santa Marta al Vaticano (Città del Vaticano, Edizioni Capitolo Vaticano, 2016, pagine 176, euro 29).
La costruzione del Cinquecento
La prima pietra di un edificio dedicato alla discepola di Gesù fu posta nella prima metà del Cinquecento, sotto il pontificato di Alessandro Farnese, Paolo III: lì dove oggi sorge il Palazzo dei tribunali, a poche decine di metri dall’attuale dimora del Santo Padre, fu edificata la chiesa confraternitale di Santa Marta. Annessi – ricorda il quotidiano d’Oltretevere – vi erano anche un ospedale e un cimitero, a disposizione degli ufficiali e domestici dei palazzi apostolici.
Gli interventi
Soltanto nel Settecento fu però completata la chiesa, che nel corso del tempo ha conosciuto diverse sorti. Con lo scioglimento della Confraternita dei Serventi, nata in coincidenza con la costruzione della chiesa ispirandosi allo spirito di servizio che animava Santa Marta, il complesso fu affidato alla congregazione dei trinitari scalzi, e l’ospedale divenne la nuova sede del seminario vaticano. Correva l’anno 1726.
A fine Ottocento il luogo di culto fu ristrutturato, ma – come spiega la Delsere – fu quello “l’ultimo momento di gloria della chiesa di Santa Marta che agli inizi del secolo successivo fu l’edificio sacrificato (e abbattuto) nell’ambito di una risistemazione urbanistica dell’area”.
La risistemazione urbanistica del 1930
Era il 1930, a sedere sul trono di Pietro c’era Pio XI, era passato soltanto un anno dai Patti lateranensi e la conseguente fondazione della Città del Vaticano stava producendo una serie di interventi anche di ambito edilizio all’interno delle mura leonine. Ecco allora che la chiesa di Santa Marta fu coinvolta nella vasta opera di risistemazione promossa dal Pontefice. Ad essere risparmiati furono soltanto la chiesa di Santo Stefano degli Abissini e la fabbrica del Seminario, unita dalla fine dell’Ottocento all’ex convento di Santa Marta.
L’inaspettato abbattimento di Santa Marta
Al contrario di quanto stabiliva il disegno dell’ingegnere Giuseppe Momo, progettista di diverse architetture e della ridefinizione urbanistica dell’area, non fu invece preservata la chiesa cinquecentesca dedicata a Santa Marta. “Le opere d’arte superstiti – racconta la Delsere – furono traslate parte nella Pinacoteca Vaticana, parte nella cappella del nuovo palazzo del Governatorato, cui fu assegnata la medesima titolazione della chiesa scomparsa”.
Dalle pagine dell’Osservatore Romano l’architetto definisce l’abbattimento della chiesa di Santa Marta “più grave e sorprendente” di quello del complesso settecentesco di Santo Stefano dei Mori, avvenuto sempre nel 1930.
La situazione odierna
Oggi al posto della vecchia chiesa di Santa Marta si snoda una strada – spiega l’autrice dell’articolo – “posta tra le emergenze del palazzo dei Tribunali e della chiesa di Santo Stefano degli Abissini; strada che, nel progetto di Momo, era invece previsto fiancheggiasse la chiesa cinquecentesca”.
Esempio significativo di architettura
La Delsere sottolinea che Santa Marta fu “opera di uno dei principali architetti romani della fine del XVI secolo” e che costituiva “un esempio significativo non solo per la tipologia dell’edificio sacro, ma anche per le opere d’arte ivi contenute, elaborate dai maggiori artisti dell’epoca attivi presso la corte pontificia e, non ultimo, per la sua connessione con l’originaria struttura ospedaliera, da cui – come visto – è stata insensibilmente resecata, facendo perdere traccia di sé e del complesso in cui era inserita”.
Il toponimo
Santa Marta – si legge – indica oggi la medesima piazza e ripreso da Leone XIII per l’edificio del Pontificium Hospitium Sanctae Marthae (1891) che su di essa affaccia (nucleo dell’attuale Domus Sanctae Marthae, riedificata negli anni Novanta del Novecento da Giovanni Paolo II). Il toponimo della santa citata nel Vangelo come discepola di Gesù – rileva quindi la Delsere – “affonda le proprie radici nella storia secolare di una struttura assistenziale e di un pregevole episodio di architettura ormai perduto”.