Un macigno giuridico si abbatte sul Ministero della Difesa. Una sentenza che rischia di schiacciare definitivamente ogni tentativo di confondere, nascondere la determinazione di chi ha voluto far luce e dare giustizia ai 317 militari morti e gli oltre 3600 malati causati da una esposizione senza mezzi di protezione in zone bombardate da uranio impoverito. “Inequivoca certezza” sul nesso causale tra uranio impoverito e tumori. Stessa dicitura sulla consapevolezza dei vertici militari già prima dell’impiego dei militari.
Un rischio quindi di cui vi era coscienza tra i vertici militari sin dal primo momento in cui il Governo decise d’inviare i nostri militari in zone dove era stato utilizzato armamento all’uranio impoverito; anche questo si dice nella sentenza ottenuta dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia dell’Osservatorio Militare in Corte d’Appello a Roma e passata in giudicato. Sono oltre 30 le sentenze e un discreto numero sono ormai definitive.
“Con questa sentenza si mette una parola fine anche alle numerose commissioni d’inchiesta – Domenico Leggiero, Responsabile del Comparto Difesa dell’Osservatorio Militare -; una sentenza del genere potrebbe aprire il caso uranio ad aspetti penali di gravissima entità visto che si sapeva che un’esposizione in zone contaminate da proiettili all’uranio impoverito comportava il probabile rischio di ammalarsi e magari morire di cancro”. Nei fatti, questa sentenza storica contribuisce a far luce su una vicenda tra le più oscure degli ultimi decenni. A onor del vero va sottolineato che in molti casi il nesso di causalità è stato riconosciuto, ma ancora esistono sacche di resistenza il alcune Cmo (Commissioni mediche ospedaliere) che lo negano. E prima ancora che una questione economica, ciò rappresenta uno schiaffo alla dignità delle vittime.
Ma cos’è l’uranio impoverito? E’ un combustibile delle centrali nucleari. Il suo utilizzo genera una grande quantità di scorie radioattive il cui stoccaggio e smaltimento risulta molto difficile. Nel 1980 negli Stati Uniti sono state pubblicate ricerche scientifiche che portavano alla conclusione che era necessario fermarne la produzione in quanto le discariche di scorie radioattive avevano una emissione che eccedeva mensilmente i 150 micro Ci, limite massimo stabilito dalla normativa di sicurezza internazionale. Ma l’uso è continuato nel tempo.
L’Università di Belgrado ha sviluppato una analisi su quanto rilevato sul territorio a seguito dei bombardamenti della Nato sul territorio serbo, molti dei quali utilizzando Uranio Impoverito. In estrema sintesi lo studio ha proceduto attraverso l’analisi ambientale dei maggiori siti industriali e militari della Serbia bombardati dalla Nato e l’influenza che questi hanno avuto sulla qualità delle falde dei bacini dei fiumi Danubio, Velika Moldava e Lepenica, determinando l’alta tossicità della zona.
In particolare per l’utilizzo dei Balcani da diverse fonti emerge che in Serbia ed in Kosovo e prima in Bosnia Herzegovina, è stato utilizzato munizionamento al DU dall’aereo A10/A con il cannoncino da 30 mm. (munizioni API PGU-14/B). Per essere precisi, durante la guerra, truppe specializzate NBC dell’esercito della Serbia hanno monitorato l’utilizzo dell’Uranio 238, e risulta che ne è stato fatto massivo impiego il 18 aprile 1999 ai confini della regione di Bujanovac ed il 30 maggio 1999 nell’area di Cape Arza nella penisola di Lustice. Infine successivamente nella zona della Vranije. Alla fine della guerra è stata approfondita l’indagine ed è stato rilevato che l’Uranio 238 è stato utilizzato dalla Nato anche in molte altre parti della Serbia, in partire lungo il 44° parallelo all’interno del territorio del Kosovo – Metohia, in altri sette siti della Serbia ed in un sito del Montenegro.
Esistono inoltre episodi recenti della guerra in Iraq che potrebbero offrire immediati spunti di indagine alla luce di quanto negli anni è maturato in tema di conoscenza sugli effetti diretti ed indiretti dell’uranio impoverito. Ma questo è un altro capitolo…