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UOMINI RARIIntervista al Procuratore Generale Luigi Ciampoli

E’ una persona che dà sicurezza: gentile nei modi, fermo nei principi, chiaro nei concetti. Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, Dr. Luigi Ciampoli, mentre risponde alle domande ti guarda negli occhi e affonda i pensieri in ciò che appare evidente essere il suo punto di riferimento: i valori. Il suo ingresso in magistratura risale al 1965. A Roma Ciampoli ha lavorato a lungo alla procura presso il Tribunale; da sostituto procuratore ha condotto indagini sul terrorismo di destra, in particolare su Avanguardia nazionale, e sulle Brigate Rosse. Si è occupato anche di mafia, ed è stato pm nel primo processo celebrato in Italia per fondi alla Comunità europea. Già sostituto pg in Cassazione, ha rappresentato tra l’altro l’accusa nel processo per l’omicidio Calvi e per i fondi neri dei servizi segreti. Un uomo dello Stato vecchio stampo, come purtroppo ne sono rimasti pochi. Per questo lo abbiamo scelto quale primo personaggio da intervistare nei nostri colloqui domenicali, e ne siamo onorati.

Partiamo da lontano, dalle sue emozioni da bambino. Si ricorda il suo giocattolo preferito? “Era un cavallo di cartone pressato, e lì sognavo di correre contro il vento. Altre volte lo usavo come cavallo da traino, attaccandogli dietro una carrozzina. Avevo quattro, cinque anni, ma il ricordo è ancora vivo. E quella passione mi è rimasta. Amo gli animali, cani e cavalli sono la mia debolezza di affetti, diciamo; li trovo comunicativi, ed è un rapporto speciale. Quando si riesce a dare agli animali la propria attenzione e la propria affettuosità, questi rispondono sempre. Il cane poi risponde con affetto anche alla cattiveria dell’uomo. Sono due animali che incarnano due concetti importanti: libertà e fedeltà”.

Due parole forti. Che ne richiamano altre due: giustizia e Stato… “Ci sono nato magistrato. Era il funerale di mio nonno, avevo 9 anni; promisi a me stesso che sarei diventato magistrato. Mio nonno era avvocato e io sono cresciuto da bambino sulle sue ginocchia quando riceveva i clienti. Era il pretore e avvocato di un piccolo paesino del Gargano.

Questo è stato il momento della decisione, poi però è arrivato lo studio, da superare con la passione… “Devo dire che la mia vita scolastica è stata quella di uno studente normale, con alti e bassi; sono passato dall’essere il primo dell’Istituto ad essere poi rimandato. Un periodo questo che coincideva con quello cosiddetto ‘dello sviluppo’. Poi all’università ho ripreso un po’ le redini della precisione negli studi e anche della caparbietà. E quindi l’ho fatta tutta di un fiato, con l’esonero dalle tasse per borse di studio, e la mia tesi alla fine è stata la migliore di Procedura penale all’Università di Napoli in quel periodo. C’era molta preparazione in quell’Ateneo, ho avuto dei grandi docenti, anche al liceo”.

Lei ha parlato di preparazione. Non pensa che in generale sia un vulnus della società moderna? “Molto. Anzi, nella mia Puglia si dice ‘ciuccio è presuntuoso’”.

Come si concilia un impegno così grande come uomo dello Stato con la famiglia? “La famiglia fa parte dei valori fondamentali dello Stato. E’ la realizzazione di una parte della vita, ma è anche una risposta del cittadino a integrarsi. La famiglia ti insegna a contemperare le esigenze, a donare affetto, a sollecitarlo anche, ti insegna ad avere pazienza, a cimentarti nell’educazione dei figli, ognuno dei quali ha bisogno di un’attenzione e una comunicazione esclusiva”.

Lei è da circa 50 anni nella magistratura. Com’è cambiata nel tempo? “Molto, ma più che altro è cambiato il modo di concepire il magistrato e il modo di essere magistrato. La mia carriera ha visto a un certo punto salire vertiginosamente il quoziente di gradimento della magistratura da parte dell’opinione pubblica. Erano gli anni bui del terrorismo. C’era stato un periodo di fermenti, che annunciavano cosa stesse per accadere; il problema è stato non aver intuito e capito quei segnali. Negli ultimi anni purtroppo ho visto scendere il gradimento nei confronti della magistratura. Il concetto di insofferenza verso l’autorità costituita dello Stato è cambiato così come è cambiato il modo di sentirsi magistrato; su molti concetti moderni non sono d’accordo. Per esempio, partendo da una banalità, non credo che si possa andare in ufficio senza colletto e cravatta; una banalità, ripeto, però dimostra l’approccio che si ha con il concetto di essere parte di un’Istituzione”.

Come vede la riforma della magistratura? “Punto dolente. La magistratura deve ritrovare la simbiosi con il popolo in nome del quale agisce e produce i suoi provvedimenti, quindi è un dovere di tutti cercare questa simbiosi. Colleghi stranieri mi chiedono spesso della differenza tra magistratura requirente e giudicante; ho risposto che la magistratura requirente erroneamente è indicata come l’accusa. In verità si deve rispolverare il concetto di difesa come rappresentante della collettività. La parte ha diritto ad essere difesa nei suoi interessi particolari, ma la magistratura deve avere a cuore gli interessi generali della società. Per fare le riforme, poi, c’è bisogno di conoscere dall’interno il meccanismo della magistratura…”

C’è una parola che le è particolarmente cara: cittadino. “E’ una parte essenziale dello Stato. Partiamo dalla rivoluzione francese, il cittadino è la scoperta della democrazia. E’ l’immedesimazione dello Stato attraverso i suoi componenti. Se non ci fosse il cittadino non ci sarebbe lo Stato. Il cittadino non è mero esecutore: crea, partecipa, si sente parte del tutto. E’ un concetto assimilabile alla religione: come l’anima partecipa all’universalità del concetto di Dio, così il singolo cittadino ha una sua identità ma fa parte del tutto”.

Parlando del terrorismo anni ’70 lei ha accennato a un fermento sottovalutato. Oggi, tra problemi economici, tensioni sociali e rabbia nei confronti delle istituzioni, non vede un fermento simile? “Così lei mi entra nel segreto d’ufficio… Tenendoci larghi le posso dire che l’attività criminale è sempre più fantasiosa anche delle migliori intenzioni di uno Stato che vuole essere presente. Prima le ho citato mio nonno paterno, ora richiamo il mio nonno materno che essendo ufficiale di marina si esprimeva in questi termini: non parlava di governo, ma di padre-governo. Se non torniamo come concetto al considerare il governo come un ente che ci può soccorrere e che cura i nostri interessi, è chiaro che – come dice un detto popolare – il padrone di casa che lascia incurata la casa non si accorgerà che arriva il ladro”.

E cosa può accadere? “Si può fare terrorismo non soltanto sparando nelle piazze ma anche minando il sistema economico di un Paese, attaccando la moneta e il lavoro”.

Allora siamo già sotto attacco… “In parte sì. La corruzione è dilagante, ma parlare oggi di questo fenomeno cozza con risposte del tipo: ‘Che ho fatto? Lo fanno tutti’, ‘In fondo quei soldi me li ha offerti per una cosa che avrei fatto comunque…’ Il punto è che siamo in una società con una maggioranza di ateismo di valori”.

Parliamo di terrorismo, ma guardiamo all’estero… “Il terrorismo internazionale è una realtà, ed è su base di fanatismo, e quest’ultimo è virale. E’ facile trasmetterlo, perché c’è una povertà di coscienze. Esseri fragili che hanno bisogno di essere manipolati, che chiedono di essere manipolati. E questo dimostra come l’attenzione legittima dello Stato deve cercare di arrivare prima dell’indottrinamento criminale”.

Se oggi dovesse entrare nel suo ufficio un magistrato al primo giorno di lavoro, cosa gli augurerebbe? “Di sentirsi gravato da una grossa responsabilità: il suo compito è di dare risposte alla società e non a se stesso”.

Il Pontefice ha detto una frase forte, parlando del fatto che tutti noi potremmo essere carcerati, nel senso che chiunque può sbagliare… “Tutti possiamo sbagliare, ma abbiamo mai sentito parlare con lo stesso ardore delle vittime dei carcerati? Perché se la dentro c’è uno che ha ammazzato una persona, ha privato una famiglia – quindi ha condannato – non soltanto la persona a perdere la vita ma i componenti della famiglia a trovarsi privi del padre, del mezzo di sostentamento, del conforto. Io vorrei vedere un 15 agosto una visita non ai carcerati, che per carità la meritano, ma vorrei vedere lo Stato avere attenzione anche per le vittime”.

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