È in aumento il numero di donne e bambini, alla ricerca di un rifugio in Europa, che continuano a transitare attraverso la Serbia e la Repubblica ex jugoslava di Macedonia. Lo rende noto l’Unicef attraverso un comunicato. Nel testo divulgato dal Fondo per l’infanzia si legge che “Quasi 10mila persone, circa il 40% delle quali donne e bambini, sono state registrate a Gevgelija (in Macedonia) tra il 1 e il 6 settembre mentre superavano il confine greco”. Nello stesso periodo sono state registrate oltre 7.720 persone che transitavano attraverso Presevo, cittadina situata nella parte meridionale della Serbia centrale, al confine con il Kosovo e la Repubblica di Macedonia.
Da giugno di quest’anno – prosegue il comunicato Unicef – oltre 64mila persone sono state registrate presso il centro di accoglienza a Gevgelija, mentre nello stesso periodo 89.161 persone che hanno espresso intenzione di chiedere asilo sono state registrate mentre transitavano in Serbia. Ai rifugiati che hanno espresso il proposito di richiedere asilo, vengono date 72 ore per completare il procedimento. La maggior parte di loro continua il proprio viaggio in autobus verso la capitale Belgrado, per poi procedere verso l’Ungheria e infine verso i Paesi dell’Europa orientale o occidentale. Molti fuggono dalle violenze in Siria, Afghanistan e Iraq. L’Unicef e i suoi partner – conclude il comunicato – continuano ad ampliare i servizi di assistenza umanitaria presso i centri di accoglienza nei due Paesi.
Relativamente al massiccio movimento migratorio che si sta riversando in Europa attraverso i Balcani, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) ha stimato che sono oltre 3mila i migranti che entrano quotidianamente nel territorio della Fyrom e della Serbia. Una cifra che non diminuirà nel breve periodo. “Non vediamo alcuna fine al flusso dei rifugiati nei prossimi mesi”, ha detto Melissa Fleming, portavoce dell’Unchr. La motivazione dell’incremento dei flussi migratori nei Balcani – spiega la Fleming – è da rintracciare nel proseguimento del conflitto in Iraq e Siria e nelle “condizioni peggiorate” per i rifugiati in Turchia, Giordania e Libano.