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UNA CASA GRANDE COME IL MONDO

La scritta vivace a lettere rosse incollate sbilenche sulla cassetta della posta. Montecolombo: la “Casa Mondo”. Fuori ci sono i colli riminesi che paiono essersi fermati al secolo scorso: stradine che seguono l’ondulare del terreno, appezzamenti coltivati, trattori di piccole dimensioni, odori della campagna; sembra di sentire nell’aria la tipica cadenza romagnola. Dentro invece profumi di spezie sconosciute, colori vivaci di altre terre, l’eco di accenti esotici. Chi sono? Immigrati? Rifugiati? Extracomunitari? Richiedenti asilo? Come si dice? “Mi piace il termine ‘viaggiatori, pellegrini‘ – dice accogliente Davide – dà il senso del viaggio, del cammino”.

Davide ha svolto il Servizio Civile in Africa, tornato in Italia ha sempre lavorato con gli immigrati. E tu, come preferisci essere presentato? Operatore? Volontario? “Sono una persona che ha scelto di vivere qui, con queste persone”, spiega mentre attraversiamo i corridoi. In questo momento nella casa ci sono 15 persone, sono tutti pakistani perché per questo tipo di accoglienze è opportuno non mescolare più etnie. Per questioni religiose, alimentari, è meglio che siano tutti dello stesso Paese.

Che ci fanno qui? Come ci sono arrivati? “Loro scappano da un timore. Lasciano la famiglia, la loro terra perché cercano pace, una pace che per svariati motivi non hanno nel loro paese. Il loro viaggio è stato lungo, faticoso e pericoloso: dal Pakistan all’Iran, poi in Turchia e da lì col gommone in Grecia, poi Macedonia, Balcani, Ungheria, Slovenia, e l’arrivo in Italia a Gorizia”. Una volta intercettati vengono trasferiti sul territorio nazionale. La Questura di Rimini si avvale dell’Hotel Royal per la prima accoglienza, gli screening sanitari, e viene dato loro il cedolino sostitutivo del permesso di soggiorno. A quel punto vengono inseriti in strutture come la Casa Mondo, dove fanno un percorso di integrazione e di autonomia, a partire dallo studio dell’italiano.

Nel frattempo parte per loro l’iter burocratico: “Quando arrivano ricevono il modulo C3 – continua Davide –, poi un cedolino valido per 6 mesi e rinnovabile, poi attendono la chiamata dalla Commissione che dovrà valutare la loro posizione al fine di riconoscerne l’eventuale status di rifugiato o un altro tipo di protezione”. Un labirinto per i non addetti ai lavori, e un percorso comunque difficile: “C’è un rigetto che in alcune commissioni arriva al 70%, chi lo riceve fa ricorso, e i ricorsi durano parecchi mesi…”.

Qui sta la professionalità di chi accoglie, la differenza tra chi ospita per lucrare e chi vede le “persone” che stanno dietro i migranti: “L’accoglienza di massa è successa anche a Rimini, e molti alberghi hanno fatto il pieno anche in inverno. Ma le accoglienze così sono dannose. Non sono stati seguiti, e non hanno iniziato l’iter per l’ottenimento del permesso di soggiorno. In media occorrono 14 mesi, e li hanno persi tutti”.

Davide segue soprattutto l’aspetto lavorativo, sono inseriti in lavori socialmente utili, che divengono anche un’occasione per migliorare la lingua ed acquisire conoscenze per entrare successivamente nel mercato del lavoro; poi, stagionalmente, nei campi, soprattutto cipolle e uva. Nella casa c’è anche Irene, che cura la parte sanitaria e Sara, 26 anni, che ha fatto il Servizio Civile in Olanda, che cura la parte scolastica.

C’è anche Johannis, giovane greco in periodo di volontario europeo. Tutti insieme, con Sayad, pakistano, ci sono italiani, un greco, a preparare il tipico Chapati. Si va a tavola. Una tavola grande come il mondo.

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