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UN NATALE CON I ROM

“I rom sono nostri amici e molti di loro, essendo cristiani, sentono il Natale come una festa di famiglia. Per questo prima di Natale abbiamo fatto visita ai bambini rom di Bologna e Rovigo insieme ai bimbi della nostra Comunità di diverse città emiliane. In particolare è stato emozionante entrare nelle loro case, nei camper. Tra bimbi è il sorriso dell’altro che cattura subito, avere la stessa età, la stessa voglia di giocare senza pregiudizi. I bimbi non hanno muri! Alcune di queste famiglie le abbiamo proprio vicine di casa. Kemo e Regina, primo caso in Italia di famiglia in camper accolta nel giardino della Comunità di Sabbiuno da 8 anni, nonostante le titubanze delle istituzioni. Ercole e Sabrina che avevano perso un bimbo per una polmonite a causa del freddo, accolti in un appartamento vicino a quello di una nostra famiglia. Che emozione rivederli tutti per Natale!”. Un’accoglienza di vicinato, quella raccontata da Luisa Tonelli, all’epoca responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII di Bologna, in cui i membri della Comunità diventano “vicini di casa” facendo posto a famiglie rom con i loro camper nei cortili delle proprie abitazioni.

Non sono zingari, nomadi o gitani, le persone con cui la Comunità Papa Giovanni XXIII cammina dal 1989, ma appartengono al popolo Romanì che comprende le comunità di Rom, Sinti, Kalé, Manouches, Romanichels. Fu don Oreste Benzi a iniziare per primo il cammino con questo popolo imparando a rompere gli schemi sociali tradizionali e a modificarsi profondamente per dare vita ad un dialogo reciproco, al sostegno e all’accoglienza delle famiglie, anche vicino casa. Per questo ogni anno, nella festività di Santo Stefano, la mattina del 26 dicembre, si ritrovano con Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità di don Benzi al Cimitero di Rimini, davanti alla sua tomba per un momento di preghiera Romanì e Gagi (ovvero tutti i non romanì) insieme e di scambio di auguri natalizi come avvenuto ieri con diverse famiglie rom di origine slava del territorio.

D’altronde “il Natale per la famiglia Rom è ‘la festa della riconciliazione’ – spiega Nazzareno Guarnieri della Fondazione Romanì Italia – in cui cancellare tutti i risentimenti e le liti tra le diverse famiglie avvenute durante l’anno e dimenticarle per sempre”. Secondo questa tradizione, la persona più giovane implicata in una lite invita le altre a festeggiare il Natale da lui per riconciliarsi. Se si tratta di lite tra famiglie, occorre invitare direttamente la persona più anziana della famiglia con cui si è in lite la quale decide per tutta la sua famiglia. E questo perché gli anziani sono molto considerati nella cultura romanì. In questo modo “la lite sarà dimenticata per sempre, perché nella loro cultura esiste solo il presente, perché il passato è lontano, il futuro deve ancora arrivare, quindi esiste solo oggi”.

All’insegna della pace e della riconciliazione è stato anche il pranzo di Natale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio il 25 dicembre, in più di 100 città italiane per un totale di 40mila ospiti, tra cui oltre ai rom e ai sinti erano presenti tante persone che vivono nella strada: profughi senza tetto, mendicanti, anziani soli, malati di Aids. E che solo a Roma ha coinvolto 15mila persone. Al fianco dei rom la Comunità è impegnata dal 1982. Oltre ai numerosi servizi offerti dal Centro di prima accoglienza di Roma “Genti di Pace”, i volontari si sono impegnati settimanalmente nei campi e negli insediamenti dove vivono i Rom e i Sinti e nei quartieri vicini agli insediamenti hanno attivato le “scuole della pace” dove si svolgono iniziative educative e ludiche per lo scambio interculturale e l’integrazione tra gruppi di minori rom insieme a minori non rom. Lo scorso aprile, in occasione della Giornata internazionale di rom e sinti, proprio la Comunità di Sant’Egidio aveva pure chiesto “una moratoria dell’argomento rom a fini politici” per interrompere l’utilizzo strumentale della questione rom che fomenta “gli istinti peggiori della cittadinanza” mettendo a rischio ogni pacifica convivenza tra culture.

C’è anche chi per dare voce ai diritti del popolo rom, come l’Associazione 21 luglio, per questo Natale ha pensato ad un calendario 2017 dal titolo emblematico Il tramonto delle baraccopoli. Favelas, bidonville, campi nomadi, baraccopoli, slums. Sono tanti i modi in cui vengono chiamati gli spazi abitati da chi è più facilmente dimenticato dalla storia ma che in realtà ha una storia millenaria di tradizioni e costumi ricchissima. Luoghi delle estreme periferie, aree delle discariche, cortili di case abbandonate, campi isolati che insieme al popolo Romanì andrebbero resi luoghi vitali di incontro e non ghetti. “Per questi luoghi, dove il tempo è congelato e la pesantezza del vivere portata all’estremo si vuole – spiegano i promotori del Calendario 2017 – auspicare il tramonto”. Nel Rapporto annuale sulla condizione di rom e sinti in Italia l’Associazione aveva fatto emergere che delle 180 mila persone distribuite sul territorio nazionale, un quinto vive la cosiddetta emergenza abitativa. Circa 35 mila sono cittadini rom e tra questi, 20 mila vivono negli insediamenti progettati dalle istituzioni e altri 15 mila in baraccopoli o insediamenti spontanei.

Gesù è nato fuori le mura, in una stalla lungo il viaggio verso, in mezzo ai pastori nomadi, proprio quando i suoi genitori stavano andando a registrarsi per il censimento. Anche lui, ieri come oggi sarebbe apolide, ovvero dalla parte di quanti non sono riconosciuti cittadini da nessuno stato per motivi razziali, etnici, religiosi o politici e restano senza patria. E anche per questo come ricordò incontrandoli durante il Giubileo della misericordia Papa Francesco occorre “sradicare i pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze che spesso sono alla base della discriminazione, del razzismo e della xenofobia” per «scrivere insieme una nuova pagina di storia per il vostro popolo e per l’Europa Anche Papa Paolo VI aveva mostrato lo stesso calore 50 anni prima in visita al campo nomadi di Pomezia quando disse a rom e sinti: “Dovunque vi fermiate, voi siete considerati importuni ed estranei. Qui no. Qui trovate qualcuno che vi vuole bene, vi stima, vi apprezza, vi assiste”. D’altra parte a Natale, Gesù nasce per tutti, al di là dei confini territoriali, nessuno escluso, anche per i senza patria, sia per il popolo Romanì che per i Gagi.

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