Il ritrovamento, frutto di costanza e fortuna come quasi sempre accade nel campo della paleoantropologia, è avvenuto in un sito desolato non lontano da altri luoghi già segnalati con evidenza nella mappa geografica dell’evoluzione umana. Ledi-Geraru, infatti, dista solo 30 chilometri da Hadar, una località che ci ha regalato altri importanti fossili: quello che fino a ieri era l’esemplare di Homo più antico, datato 2,3 milioni di anni fa, e un centinaio di individui della specie a cui appartiene la celebre Lucy, Australopithecus afarensis. Il nuovo arrivato, una mandibola con qualche dente, è tutto ciò di cui disponiamo per tracciare il ritratto dei primi ominidi appartenenti al nostro stesso genere “Homo”. Eppure è un dono straordinario quello che ci ha fatto, ancora una volta, la terra di Etiopia. Con il suo record di anzianità, sembra gettare un ponte tra Australopithecus e Homo habilis, rafforzando la posizione di Lucy come antenata carismatica dell’umanità. Ma l’esercizio di genealogia è ancora prematuro, avvertono gli scienziati americani che hanno scritto sulla rivista Science.
Se il fossile rinvenuto anticipa l’alba dell’umanità di circa mezzo milione di anni come Brian Villmoare dell’Università del Nevada e i suoi colleghi stanno affermando, da oggi possiamo dire di essere umani da 2,8 milioni di anni. Molte sottigliezze accademiche animeranno il dibattito scientifico nei prossimi mesi e anni, nel tentativo di tracciare i confini tra le specie e indovinare quali abbiano dato un contributo diretto o si siano rivelate piuttosto dei vicoli ciechi nello sviluppo dell’essere umano. I ricercatori americani sono tornati nuovamente nel sito etiope nel gennaio di quest’anno, ma per il momento non hanno voluto rivelare se con gli ultimi scavi siano venuti alla luce altri elementi utili per completare questo complicato puzzle.