“Buongiorno, vorrei una pillola per uccidere mio figlio”. Cosa succederebbe se davvero entrasse in farmacia una mamma chiedendo schiettamente in questa forma una pillola dei 5 giorni dopo? Ma così sinceri non si è mai. E tanto meno lo sono alcuni farmacisti nel chiarire gli effetti della pillola più diffusa del momento. Anzi! La confusione continua a crescere a dismisura unicamente a vantaggio delle case farmaceutiche. Di certo non delle mamme e tanto meno dei nascituri destinati ad essere annientati fin dal concepimento. E specie d’estate, tempo in cui ci sono centinaia di proposte per le vacanze ma nemmeno un’iniziativa per educare alla maternità e paternità responsabile.
Il “Dottor” Internet
Non stupisce quindi che un’indagine di Swg-Health Communication presentata recentemente a Roma e realizzata attraverso un questionario a cui hanno risposto 500 donne tra i 18 e i 40 anni abbia rilevato che il 70% è molto favorevole all’uso di contraccettivi d’emergenza. Pur ritenendoli utili ed efficaci specificamente per evitare l’aborto (76%), oltre il 50% delle donne intervistate li ritiene però pericolosi. Secondo questa ricerca, la differenza tra pillola del giorno dopo e quella dei 5 giorni dopo la conoscono solo il 17% delle donne che invece di informarsi dal ginecologo, dal medico di base o dal farmacista, preferiscono imparare tutto da Internet o leggendo riviste e giornali. In generale, per il 50% delle intervistate è più facile acquistarle rispetto al passato ma un 30% ha ancora dichiarato di trovare resistenze quando si reca in farmacia. E 1 su 5 non sa neppure che si può chiederle senza ricetta (a patto di essere maggiorenni).
Boom
Davvero una grande confusione se si considera che proprio Federfarma che poco tempo fa è stata chiamata a rispondere ad un’interrogazione in Senato, ha ammesso il boom di vendite della pillola dei 5 giorni dopo – cercando però di limitare gli allarmismi – con una crescita del 96% in 10 mesi, oltre 200.000 confezioni vendute nel 2016, quasi una ogni due minuti. EllaOne, questo è il nome della compressa, è facilissima da richiedere perché non serve la ricetta né il test di gravidanza e costa solo 26,90 euro. E inoltre viene presentato a livello mediatico sempre più diffusamente come contraccettivo di emergenza, per “addolcire la pillola”. Ma la verità è che si tratta invece di un farmaco abortivo che può essere assunto dalla donna entro 120 ore dal rapporto considerato a rischio impedendo così l’attecchimento all’utero dell’embrione, con conseguente morte dello stesso. Eppure viaggiando su internet viene addirittura proposto per curare i fibromi.
Come funziona
La verità è che nei giorni più fertili del ciclo, EllaOne non avrebbe alcuna efficacia sull’ovulazione, che seguirebbe entro due giorni come previsto dalla natura. Conseguentemente, il concepimento potrebbe avvenire. La gravidanza tuttavia, anche in caso di concepimento, non comparirebbe. EllaOne, infatti, impedisce l’azione del progesterone, l’ormone che favorisce la gestazione, ostacolandone il normale effetto di preparazione dell’endometrio all’annidamento. In sintesi: l’Ulipristal Acetato (il principio attivo del farmaco) è in grado di ritardare l’ovulazione solo nell’8% dei casi, mentre tutte le altre donne (il 92%) che assumono il farmaco in quei giorni, i più fertili, ovulano regolarmente e possono concepire. Se la gravidanza non compare è dunque perché questi farmaci impediscono l’annidamento del figlio in utero. Dettagli spesso omessi da Case farmaceutiche e Federazioni di farmacisti. Ecco perché l’Amci, Associazione medici cattolici italiani già da tempo ha allertato sulla “grave pericolosità per la salute della donna di assunzioni del suddetto farmaco quando ripetute e reiterate e sottaciute al medico”. E ancora per chi è minorenne: “La disinformazione dei rischi e degli effetti collaterali per la salute dell’adolescente oltre della possibilità della soppressione di una vita umana è certamente causa di superficiali e non ponderate decisioni, rivendicata da una malintesa libertà e autodeterminazione personale”. E tantomeno – come pensano molti adolescenti fai da te – può risolvere l’ansia di chi dopo rapporti non protetti occasionali teme di aver contratto malattie infettive. EllaOne non evita hiv, epatite o altre malattie sessualmente trasmissibili.
Farmacisti obiettori
Ma c’è qualcuno che ci prova a dare una corretta informazione e persino ad obiettare la vendita del farmaco. Fausto Roncaglia è farmacista a Parma e vicepresidente dell’Ucfi, l’Unione Cattolica Farmacisti Italiani.
Com’è possibile che un farmaco abortivo continui ad essere confuso con un anticoncezionale?
“La legge italiana chiama farmaci quei prodotti che uccidono, ma non sono farmaci, sono vere e proprie armi chimiche, sistemate nelle cassettiere e negli scaffali delle farmacie, in scatolette del tutto simili alle altre, vendute come tutte le altre. Ciò va contro la coscienza di qualsiasi essere umano e va contro anche la Costituzione della Repubblica Italiana, che dichiara di fare riferimento alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, che all’art.2 dice che nessuno può essere obbligato a collaborare ad uccidere. Eppure se un farmacista si rifiuta di vendere questi prodotti può essere denunciato, processato e condannato. Bisogna avere il coraggio di dire la verità. Le pillole del giorno dopo sono abortive, le pillole dei 5 giorni dopo sono abortive, le spirali sono abortive. Quanti sanno, anche tra gli operatori della salute, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità per fare passare come non abortivi tali prodotti ha fatto un gioco di prestigio cambiando significato alle parole aborto e gravidanza? A tavolino è stato stabilito, contro la verità oggettiva scientifica, per comodità, di decidere che la gravidanza non inizia dal concepimento (com’è in realtà) ma dall’annidamento dell’embrione nell’endometrio uterino (8-10 giorni dopo), in modo da potere disporre dell’embrione in quei primi giorni di vita. Ma cambiando significato alle parole non si cambia la realtà scientifica: sono prodotti fatti per uccidere l’embrione, veri e propri pesticidi umani”.
Concretamente quando una donna entra in farmacia e le chiede la pillola del giorno dopo o quella dei 5 giorni dopo, lei ha la possibilità di spiegarne gli effetti abortivi e di dialogare con l’acquirente indirizzandola al Centro aiuto alla Vita oppure può addirittura rifiutarne la vendita?
“Sono stato in passato titolare di farmacia, ora sono libero professionista. Certamente il titolare ha più libertà e può (anzi dovrebbe farlo sempre!) informare la donna sugli effetti dei prodotti che cerca ed eventualmente indirizzarla ad un Cav. Anche il farmacista dipendente è un professionista e ha diritto-dovere di agire allo stesso modo. Ma purtroppo per il farmacista obiettore non titolare sono ostacolo maggiore certi titolari che non le leggi. Da quando per le pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo è stato tolto l’obbligo di ricetta medica per le donne maggiorenni il farmacista titolare può decidere di non tenere in farmacia tali prodotti, spiegando perché li considera non adeguati. Se poi arriva una minorenne con ricetta medica allo stesso modo il farmacista obiettore può spiegare perché non detiene e non vende il prodotto richiesto. Avere il tempo di informare ogni cliente è fondamentale”.
Le è mai successo di essere denunciato? O che la vostra farmacia sia stata “segnalata” all’Ordine?
“Non mi è mai successo ma personalmente sono un privilegiato, prima come titolare e ora come libero professionista, dato che a Parma tutti sanno che sono obiettore e mi assume solo chi sa che farò obiezione di coscienza. Inoltre non faccio turni notturni, in cui c’è maggiore richiesta di quei prodotti. Il presidente dell’Unione Cattolica Farmacisti Italiani di Roma, è stato invece denunciato anni fa e anche altri colleghi. Hanno subito un lungo iter processuale, ma nella maggioranza dei casi i farmacisti non sono stati condannati, in base alla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, secondo cui nessuno può essere obbligato a collaborare ad uccidere e all’art. 3 della nostra professione, che dice che il farmacista è obbligato al rispetto della vita. Tuttavia anni di iter processuale sono una condanna (anche economica). Al momento noi farmacisti non abbiamo leggi specifiche che ci permettano di fare obiezione di coscienza tranquillamente e quindi facciamo obiezione con il rischio di esser denunciati, di essere licenziati, di non essere assunti se obiettori. Qualche collega per potere mantenere la famiglia è stato costretto a cambiare tipo di lavoro”.