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Tre milioni di italiani pagano di tasca loro per le cure a domicilio

Nel 2014 8,7 milioni di italiani hanno usufruito di prestazioni sanitarie a domicilio pagando di tasca propria, con una spesa complessiva di 2,7 miliardi di euro. Sul totale, 6,9 milioni di assistiti hanno chiesto prestazioni ‘una tantum’, mentre 2,3 milioni hanno avuto bisogno di assistenza continuativa. A necessitare di prestazioni che il Servizio sanitario nazionale non ha garantito sul territorio sono stati il 44,4% dei non autosufficienti: il 30,7% dei malati cronici e il 25,7% degli over 70 (2,3 mln). Lo studio è stato elaborato dal Censis per la Federazione dei Collegi Ipasvi in occasione del XVII Congresso nazionale che si è aperto oggi a Roma e che per tre giorni vedrà riuniti gli infermieri d’Italia per dibattere sul ruolo di questa figura professionale nella nuova sanità e per sancire un nuovo patto per l’assistenza con i cittadini.

Nella maggior parte dei casi i pazienti hanno chiesto iniezioni, seguite da perfusioni, infusioni e le flebo (33%), assistenza in generale, medicazioni e i bendaggi e cure notturne. Il 54% degli italiani che hanno pagato di tasca propria un operatore sanitario lo ha fatto in nero: il 45% per l’intera cifra e il 9% in parte. Ancora, oltre 4,2 milioni di italiani nei 12 mesi precedenti l’intervista del Censis si sono rivolti a figure non infermieristiche (badanti, familiari, conoscenti, eccetera) per avere prestazioni di tipo sanitario per varie ragioni: la fiducia nella persona cui si fa ricorso (42%), il costo eccessivo di un infermiere (33,7%), la convinzione che per alcune prestazioni in realtà l’infermiere non sia indispensabile (31,5%). La maggioranza si dichiara tutto sommato soddisfatta delle prestazioni avute, e giudica “residuali” gli eventuali danni subiti.

Tra coloro a cui si è fatto ricorso, le badanti sono una figura emblematica: nelle case in cui lavorano gestiscono le terapie farmacologiche (88,8%), fanno iniezioni (32,3%), si occupano di eventuali bendaggi e medicamenti (30,4%), intervengono in caso di esigenze sanitarie che di solito richiedono il ricorso a infermieri (20,5%) e gestiscono un catetere (6,2%). Il 51,5% delle persone che impiegano una badante ritengono che la propria sia capace di svolgere prestazioni infermieristiche e il 30,6% la considera in grado di intervenire in caso di emergenze sanitarie. Il 51% degli italiani che ricorre alla badante per prestazioni sanitarie lo fa perché pagare un infermiere in modo continuativo è troppo costoso.

Per il 50,9% degli italiani esistono prestazioni semplici (iniezioni o medicazioni), per cui l’infermiere non è indispensabile. Il dato è più elevato tra gli anziani (55,4%), che sono consumatori più intensi di prestazioni infermieristiche. Dall’indagine Censis emerge anche che esiste una domanda, reale e potenziale, di prestazioni infermieristiche alta e in crescita, e il numero di persone che hanno pagato direttamente di tasca propria è teoricamente ancora molto al di sotto del fabbisogno potenziale di prestazioni sul territorio e a domicilio. Ma nonostante ciò, sono evidenti situazioni di disoccupazione e sottoccupazione di infermieri, che spesso si rivolgono per lavorare a strutture private profit con la conseguenza di ottenere remunerazioni anche molto basse, ma a tariffe tutto sommato elevate per i cittadini.

La colpa di questa situazione è anche del blocco delle assunzioni nel pubblico, che, secondo la ricerca Censis, chiuderebbe molti sbocchi per gli infermieri. “La crisi economica ha danneggiato i cittadini ma anche diversi settori come quello infermieristico, spingendo verso un blocco del turnover – commenta Carla Collicelli, vice direttore generale dell’istituto  – Oggi il mercato è fermo, assunzioni non se ne fanno e i giovani laureati non trovano facilmente sbocchi nel pubblico”. L’attività libero professionale o autonoma è considerata ancora dagli infermieri una “seconda istanza, se non addirittura un ripiego, una fase di passaggio verso la ‘vera’ occupazione da dipendente, possibilmente nel pubblico”.

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