Se non fosse per la grande insegna affissa sulla stazione ferroviaria, neanche il piĆ¹ informato dei visitatori si renderebbe conto di trovarsi a Tor Sapienza. Alle dieci di mattina questo piccolo quartiere della periferia romana ĆØ un viavai di colori, costumi ed etnie differenti che camminano una a fianco allāaltra indiscriminatamente. āIām fine. Sto bene qui ā dice un ragazzo nigeriano alla fermata dellāautobus – tutti si comportano bene con meā. Ha sentito parlare degli scontri, ma non ne sa molto. Per capire cosa sia successo, spiega, occorre salire verso viale Giorgio Morandi, uno dei quartieri delle case popolari.
Eā proprio lƬ, un paio di chilometri piĆ¹ su, che si trova il famoso centro dāaccoglienza per migranti che nei giorni scorsi ĆØ stato al centro dei riflettori della televisioni. Una cronaca che, spiegano i cittadini ancora demoralizzati, troppo spesso piĆ¹ che informare disinforma. Di fronte al bar cāĆØ un gruppo di persone che discute. Nessuno vuole parlare con i giornalisti: āNon rilasciamo piĆ¹ interviste, tanto ci fanno dire solo quello che vogliono loro ā mi dice Barbara, una residente del posto sentita appena due giorni fa dal programma Le Iene ā noi passiamo per i razzisti della situazione, le informazioni vengono date solo a metĆ , i problemi di questo quartiere minimizzati e ridotti a un centro dāaccoglienza. Nessuno spiega che disagio sociale che viviamo ha radici molto piĆ¹ profondeā.
Ed ĆØ facendosi un giro per le vie di questa zona che si inizia a comprendere quale genere di rabbia sia stata la ācullaā dellāondata di tensione diventata – come quasi sempre accade – un reality show: lāunica scuola del quartiere si trova di fronte a un campo incolto, un centro sportivo inutilizzato e un giardinetto recintato: āQuesti sono i residui di quello che sarebbe dovuto diventare il āprogetto punto verdeā ā spiega Barbara ā ma come sempre ĆØ stato uno sperpero di soldi: il parco ĆØ stato chiuso subito dopo esser stato realizzato, il cantiere del centro sportivo bloccato da problemi amministrativi e le strade, come sempre, lasciate in balƬa di rifiutiā. Ci sono profilattici e bottiglie di birra ovunque.
Viale Giorgio Morandi, racconta Barbara, ĆØ un quartiere āconcepito come ghettoā giĆ ai tempi della sua realizzazione: i palazzoni che recintano le strade e qualche punto verde sono vecchi e decadenti, i parchi sommersi da sporcizia, la notte completamente priva di illuminazione. āQui cāĆØ gente di tutte le etnie che convive normalmente da anni ā continua ā i loculi che vennero realizzati anni fa per i pellegrini in visita al Giubileo sono stati occupati sia da italiani che da stranieri. I porta vasi delle case popolari sono in eternit e per smaltirne alcuni, tempo fa, si dovette fare una colletta tra la societĆ civile. I pochi lotti su cui ancora non si ĆØ arrivati a costruire sono un teatro di prostituzione transessuale a cielo aperto, e i bambini dai balconi riescono a vedere cosa succede tra i cespugli. Le strisce pedonali sono scomparse dallāasfalto e di fronte alle scuole non si vede un vigile da anniā.
Ā
Viale Giorgio Morandi ĆØ completamente privo di associazionismo, politiche di integrazione, centri di aggregazione e progetti volti allāinterculturalitĆ e al contrasto del degrado. Ma ĆØ stracolmo di persone diverse tra loro, arrabbiate e a volte confuse: āSiamo un calderone sociale ormai saturo. Non puoi far convivere in questo modo, in mezzo al degrado, un tale numero di persone tutte insieme senza nessuna azione politica da intraprendere. Ć normale che poi la minima scintilla faccia scattare i tafferugliā.
Ma soprattutto ai cittadini preme specificare che a regnare in questo caos non ĆØ lāignoranza; Barbara conosce bene le vicende e i nomi che hanno fatto la storia del quartiere e sa a chi attribuire i disordini amministrativi e urbanistici propri di questa zona: āIl buonismo finto fa piĆ¹ audience delle veritĆ scomode, si sa ā sospira guardandosi attorno ā e noi, da molti organi stampa, siamo stati identificati come persone che lanciano sassi indiscriminatamente. Non abbiamo nĆ© vogliamo rappresentanza politica e il razzismo non ĆØ di casa tra la maggior parte della gente che abita Tor Sapienzaā.
E questo isolamento ĆØ solo la punta dellāiceberg di un periurbano che, in un continuo ripetersi di situazioni analoghe, rappresenta il simbolo di un disagio sociale sempre piĆ¹ complesso e isolato.Ā Il caso di Tor Sapienza non ĆØ un unicum: troppo spesso i media nazionali e internazionali passano sulle vicende come un tsunami, arrivano in un posto e lo stravolgono per qualche giorno distorcendo la realtĆ e piegandola a ciĆ² che fa piĆ¹ ascolto; per poi andarsene via lasciando dietro di sĆ© altre ferite. Uno schiaffo alla buona informazione in nome di una superficialitĆ ancora una volta votata ai voleri dellāaudience.