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TERREMOTO, LE CONSEGUENZE SULLA PSICHE DEI BAMBINI

La vittima più piccola del terremoto che ha piagato il Centro Italia, in quest’estate bollente di dolore per la nostra nazione, aveva soltanto otto mesi. Il neonato è morto proprio appena era arrivata l’ambulanza per portarlo in salvo. Con lui ha lasciato Accumoli e il mondo anche il fratellino di otto anni. Vivevano in una casa accanto alla Chiesa, il cui campanile è crollato portandosi via tutta la famiglia. Non sono i soli innocenti ad avere perso la vita in questa catastrofe solo all’apparenza naturale, purtroppo. Molti sono i bambini il cui respiro è rimasto sotto le macerie. Tra loro Marisol Piermarini, 18 mesi, la cui mamma era sfuggita miracolosamente all’ultimo terremoto dell’Aquila, per dovere ora affrontare questa terribile prova. Ad Amatrice, tra gli altri, sono morti abbracciati due gemellini di 7 anni, Simone e Andrea Serafini.

L’elenco è lunghissimo, interminabile di dolore, e si farebbe un torto a ricordare alcuni e non altri. E poi,ci sono i bimbi sopravvissuti, che hanno perduto un fratello o una sorella, i nonni o perfino i genitori, e sono rimasti soli. Come Giorgia Rinaldo, 4 anni, estratta viva dopo 17 ore di ricerca, mentre la sorellina di 9 anni non ce l’ha fatta. Anche i più fortunati, che si sono salvati insieme alla famiglia, resteranno però colpiti per sempre dal trauma di quanto accaduto e i danni esistenziali, in qualche caso, potrebbero ravvisarsi a distanza di anni.

Il terremoto è come un bombardamento e i bimbi che l’hanno vissuto sono come vittime di guerra. Alcune lesioni all’anima non si riparano mai. E il trauma può essere così profondo da rendersi visibile solo a distanza di molto tempo ed essere causa di malattie fisiche e psicologiche o di disfunzioni sociali. La presidentessa della Società italiana dell’Emergenza (Sipem), Cristiana Dentione ha dichiarato che i sentimenti più diffusi tra i minori colpiti dal sisma sono: paura, ansia, angoscia, panico, rabbia. “Un intervento precoce è la chiave per evitare il cristallizzarsi delle sintomatologie, che possono portare a problematiche a livello somatico, cognitivo, emozionale, comportamentale”, ha detto la specialista.

“Save the Children” ha diffuso un decalogo, per proteggere i bambini in situazioni di emergenza: evitare che restino a lungo davanti alla televisione; ascoltarli attentamente; confortarli e rassicurarli; farsi aiutare da esperti; aspettarsi di tutto, per riconoscere comportamenti reattivi di varia natura; dedicare tempo e attenzione per non farli sentire soli; essere un modello di comportamenti positivi; imparare dall’emergenza e trasformare l’evento catastrofico in esperienza di vita per crescere; aiutarli a tornare alle normali attività di vita; incoraggiarli d aiutare gli altri in difficoltà. Nelle tendopoli, esperti dell’età evolutiva si stanno prendendo cura dei piccoli terremotati, reinserendoli pian piano alla vita normale.

In Terris ha approfondito l’argomento con la neuropsichiatra infantile Angela Magazù, dirigente medico all’Azienda sanitaria locale di Matera.

Dottoressa Magazù, l’assistenza ai bambini coinvolti nel terremoto prevede, credo, fasi e interventi diversi, dall’emergenza fino al reinserimento nella vita ordinaria. Quali sono le azioni da intraprendere, step by step, di passo in passo?
“I bambini vanno gradualmente riportati alla vita quotidiana. Il che non significa fare come se nulla sia successo, ma fare in modo che riprendano un’esistenza normale, con il gioco, lo studio, le relazioni affettive. I piccoli fanno domande e devono ricevere risposte corrette e comprensibili secondo la loro capacità di capire. Non ci sono tempi canonici, prestabili, per le azioni da intraprendere. Nella fase di emergenza, dei primi 15-20 giorni, bisogna creare spazi e attività dedicati a loro, anche di gioco, di attività ludiche e ricreative, per dare loro modo di esprimere ciò che sentono e pensano, affinché non restino fisse le immagini catastrofiche. Per esempio, attraverso il disegno, che funziona come terapia psicologica, è una modalità per esprimere e liberarsi dalle fantasie negative o dai brutti ricordi persistenti”.

Diversa è la situazione di chi si è salvato insieme ai familiari e dei minori, invece, che sono rimasti orfani o hanno perduto un parente stretto…
“Tutti devono essere accompagnati al reinserimento nella vita normale. Ai bambini che hanno avuto una perdita di una persona cara, o addirittura di uno o di entrambi i genitori, bisogna dare la sicurezza che non resteranno soli, che ci sarà qualcuno di fiducia che si prenderà cura di loro, aiutandoli ad affrontare il dolore e il senso di vuoto della perdita anche attraverso l’esperienza di qualcuno conosciuto, un compagnetto, un amico, che ha vissuto lo stesso lutto. Bisogna dare rassicurazioni affettive e di sicurezza anche fisica, la certezza che avranno una casa e qualcuno che si occuperà di loro nella vita”.

Quali sono i rischi di danno, anche a seconda dell’età?
“Più sono piccoli di età, più i disturbi sono di tipo fisico e comportamentale. Fino agli otto anni circa, i bimbi che hanno subito uno stress sviluppano disturbi nel sonno, irrequietezza, inappetenza. Nei bambini di età maggiore, i disturbi sono solitamente di tipo più affettivo-emozionale, con sentimenti di paura, di angoscia e di rabbia per ciò che è accaduto, di ansia per il futuro. Nei più grandi, dai 12 anni in su, prevalgono i ricordi catastrofici e la sensazione di vivere in un mondo pericoloso. Nell’adolescenza, i ragazzi razionalizzano senza difese si costruiscono una immagine della vita e del mondo che poi condiziona l’età della maturità”.

Quali sono i segni di un trauma nell’immediato e nel lungo periodo, e come si interviene?
“I sintomi post-traumatici da stress insorgono nell’immediato, ma possono essere qualificati come un disturbo strutturato solo dopo venti giorni, un mese circa. Come ho detto prima, sono problemi nel sonno, nell’alimentazione, nell’attenzione e nel comportamento, tristezza, apatia o irrequietezza, rabbia, paura e angoscia. La differenza è nella persistenza dei sintomi, che in condizioni vanno riducendosi nell’arco di venti giorni, appunto. Se persistono oltre questo tempo con la stessa intensità, o addirittura aggravandosi, si tratta di un disturbo vero e proprio, da trattare in mano di specialisti di psicologia dell’età evolutiva, non di semplici volenterosi, né delle maestre o degli assistenti sociali. In rarissimi casi, particolarmente compromessi, anche ricorrendo a farmaci. Solitamente, l’aiuto è di una psicoterapia, cognitiva e comportamentale, attraverso il racconto, verbale o nel disegno, che facilita la rielaborazione del vissuto traumatico”.

Come bisogna comportarsi con i piccoli che hanno perso un familiare, o addirittura la madre e/o il padre, nel terremoto? Come comunicarlo loro e cosa fare?
“La comunicazione va fatta preferibilmente da altri familiari, in modo attento e delicato, con parole che possono essere comprese anche sul piano emotivo profondo. Bisogna subito trasmettere la certezza che la perdita della persona cara non è l’inizio del nulla, non è la tragedia irrimediabile della vita. Il bambino non è solo, non sarà solo, non tutto è perduto. Questo è il messaggio che bisogna dare al bimbo o alla bimba che vive il lutto. È un lavoro lungo, che chi si prende cura del minore deve essere pronto ad affrontare. Un percorso che non si esaurisce nell’arco di un mese, ma impegna tutta la vita. Ci saranno momenti di disperazione, difficili, e momenti migliori, di speranza”.

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