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TERREMOTI, UNO SGUARDO DALL’ALTO

L’Italia è scossa, in tutti i sensi. Il sisma che da questa estate ha aggredito il centro del Belpaese ha risvegliato ancestrali paure. I morti, i crolli, gli sfollati: immagini terribili che facciamo fatica ad accettare. Eppure sappiamo di essere su una faglia che inevitabilmente si muove, provocando ciò che ha provocato. E’ solo questione di tempo, ma accadrà di nuovo.

E allora per esorcizzare la paura ci affidiamo alla prevenzione, agli studi scientifici, per capire se e quando arriverà il prossimo terremoto. Impresa ardua, al limite dell’impossibile. I geologi che studiano con i sismografi i movimenti terrestri hanno detto in tutti i modi che possiamo prevedere dove accadrà, ma non quando. Una novità però arriva dallo spazio, più precisamente dai satelliti che orbitando attorno alla Terra, continuano a scandagliare le zone colpite dal terremoto, fornendo preziosi dati.

Il monitoraggio dall’alto aiuta a verificare l’entità e l’estensione dei danni e, soprattutto, consente di seguire e ricostruire il procedere degli eventi sismici che si stanno susseguendo nel cuore dell’Appennino. In particolare sono le immagini scattate prima e dopo il sisma di fine ottobre dal sistema di satelliti Cosmo SkyMed dell’Asi (Agenzia spaziale italiana) a permettere di ricostruire l’accaduto. La loro elaborazione è affidata alla società e-Geos, costituita dalla stessa Asi e da Telespazio –joint venture tra Leonardo — Finmeccanica che detiene il 67% e Thales con il 33% della società– che opera nell’ambito del progetto europeo Copernicus dell’Esa (Agenzia spaziale europea) per fornire mappe satellitari per la gestione delle emergenze.

Il sistema Cosmo SkyMed – come racconta Raffaella Quadri a Radio Bullets – è formato da quattro satelliti, dotati di sensori radar che operano in banda X, ovvero sono in grado di vedere anche di notte e attraverso le nuvole; e di effettuare fino a milleottocento immagini radar ogni ventiquattro ore. Si tratta del primo sistema di osservazione satellitare della Terra concepito per scopi sia civili sia militari ed è stato sviluppato, infatti, dall’Asi insieme al ministero della Difesa.

Le elaborazioni delle immagini raccolte dai quattro satelliti di Cosmo SkyMed sono molto sofisticate e avvengono grazie al ricorso a speciali algoritmi in grado di evidenziare variazioni anche di pochi centimetri. I dati raccolti dai satelliti sono poi integrati con quelli registrati a terra dai sismografi. Gli esperti sono così riusciti a ricostruire la mappa dell’estensione del terremoto e quale direzione stia prendendo, raccogliendo anche informazioni sui danni e sullo stato delle infrastrutture. Grazie ai primi dati raccolti si è riusciti, per esempio, a registrare la deformazione del suolo e un suo abbassamento di ben settanta centimetri in alcune delle zone colpite.

Proprio sul lavoro dei satelliti si basa anche la missione Cses (China seismo electromagnetic satellite) che prenderà la via del cielo tra luglio e agosto del prossimo anno e che vede impegnate Italia e Cina già da dieci anni. Il progetto satellitare ha come obiettivo di scoprire se esistano fenomeni collegati con i terremoti che possano essere osservati e identificati per tempo dallo spazio. Non è infatti ancora ben chiaro cosa accada, ma da missioni precedenti è stato rilevato un legame possibile tra le perturbazioni della ionosfera, dovute a variazioni nei campi magnetici e nelle particelle che la compongono, e gli eventi sismici che si verificano a terra. Ciò potrebbe essere causato da emissioni dalla crosta terrestre di onde elettromagnetiche a bassissima frequenza.

La missione satellitare potrebbe confermare queste ipotesi e scoprire nello spazio un riscontro di quanto si registra a terra durante un terremoto. Oltre a trovare tali conferme, l’obiettivo e di potere poi costruire dei modelli analitici, precisi capaci di spiegare i fenomeni di preparazione dei terremoti e, si spera un giorno, di poterli prevedere per tempo.

Il satellite della missione italo-cinese – spiega ancora Raffaella Quadri – sarà posizionato in orbita a una quota di cinquecento chilometri dalla Terra. L’Italia parteciperà al progetto con l’Asi e l’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare) l’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), l’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) e alcune Università italiane. Al primo lancio del 2017 si prevede già di fare seguirne un secondo tra il 2019 e il 2020.

Insomma, la tecnologia si appresta a darci sempre più una mano nella gestione delle emergenze, ma resta il dato di fondo: l’Uomo non è in grado di governare la natura né di prevederne i movimenti. Il delirio di onnipotenza scientifica non è giustificato da nessuna scoperta, nemmeno la più importante, perché – in fondo – siamo solo un granello dell’immenso scenario del Creato.

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