Tempi di crisi INVESTONO LA LIQUIDAZIONE PER RIPRENDERSI L’AZIENDA

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“Ho 60 anni e i contributi giusti per andare in pensione: potevo benissimo ritirarmi a vita privata. Invece ho scommesso tutto per il futuro della mia città, per dare una prospettiva ai giovani che non vogliono andare via”. Le parole di Domenico Sorrenti, presidente della Cooperativa Birrificio Messina, sono quelle di un combattente, che ha lottato tutta la vita per un diritto elementare: il lavoro.

Un’azienda antichissima, che affonda le sue radici nel lontano 1923: il primo e unico birrificio siciliano per quasi un secolo. La storia di quest’impresa è lastricata di chiusure e aperture, passaggi di proprietà, promesse mai mantenute, licenziamenti e cassa integrazione.

Ma Domenico, insieme ad altri 15 colleghi, non voleva rinunciare al sogno di una vita: tenere in piedi l’azienda, la “loro” società. Così, dopo l’ennesimo rimescolamento ai vertici e il taglio di altri posti di lavoro, hanno deciso di prendere in mano la situazione.

Non è facile scommettere i propri soldi per evitare la chiusura: eppure, questi operai-artigiani della birra l’hanno fatto. Si sono riuniti in cooperativa, hanno investito il proprio tfr e la mobilità per far rinascere non solo il Birrificio, ma anche le speranze di chi, per anni, ha dato cuore e anima ad un’impresa.

Tutto inizia nel 2007 quando, dopo 65 anni di produzioni eccellenti, la Heineken Italia pone un aut aut ai lavoratori: traferirsi in una sede estera oppure chiudere. Compatti, i dipendenti, si rivolgono ad un imprenditore locale, padre del vecchio proprietario: “Noi volevamo restare, far funzionare la fabbrica in Sicilia, com’era sempre stato”, ribadisce con forza Domenico.

Lui accetta di riprendere in mano l’azienda, che diventa il Birrificio Triscele: in cambio, però, chiede diversi sacrifici ai dipendenti, per rinnovare lo stabilimento. I lavoratori “donano” la liquidazione di Heineken e attuano anche la mobilità interna: tutto per abbassare i costi. Alcuni operai vanno in pensione volontariamente, pur di far sopravvivere l’azienda.

Ma i sacrifici non finiscono qui: pochi mesi dopo, il proprietario chiede di nuovo l’aiuto degli impiegati. La cassa integrazione a rotazione, poi i contratti di solidarietà: “Noi lavoravamo anche nei giorni in cui non avremmo dovuto – racconta Domenico a In Terris – di nascosto e a nero, per mandare avanti la produzione”.

Infine, l’ultima richiesta del datore di lavoro, arriva nel 2011: chiede ai suoi dipendenti di fare pressioni sul Comune, per cambiare la destinazione d’uso dei terreni in cui è collocato il birrificio e farlo diventare edificabile. Gli operai, con una straordinaria opera di sensibilizzazione sull’amministrazione locale, riescono nell’impresa eccezionale: la delibera arriva pochi mesi dopo.

“E’ stato in quel momento che ho davvero compreso l’entità della strategia che era stata messa in campo – spiega Domenico – quando abbiamo portato la delibera al proprietario, io ho visto il sorriso sul suo volto e ho capito che eravamo stati strumentalizzati”. L’imprenditore, infatti, dopo aver ottenuto il cambio di destinazione per il terreno,  “saluta” i dipendenti: due giorni dopo arrivano le 40 lettere di licenziamento.

“Siamo andati ovunque, perfino dal Prefetto, ma abbiamo trovato solo muri altissimi davanti: abbiamo fatto un presidio che è durato un anno, ma nessuno voleva più scommettere sul nostro lavoro e sull’azienda”.  Così, il 9 agosto 2013, 15 ex dipendenti raccolgono il coraggio a due mani e si riuniscono in cooperativa: a distanza di due anni, stanno per festeggiare la loro prima bottiglia.

“Abbiamo chiesto aiuto alla Regione, che ha fornito due capannoni industriali in disuso: li stiamo ristrutturando impiegando i nostri soldi, quelli del tfr e della mobilità”.Ma il gesto di solidarietà più significativo, anche se simbolico, arriva dalla città: in pochi mesi, grazie a un’opera di sensibilizzazione organizzata dal professore Gaetano Giunta, i lavoratori della fabbrica riescono a raccogliere oltre 60 mila euro. Una goccia nel mare, per un’azienda a pieno regime, ma che rappresenta la volontà dei cittadini di ripartire proprio dalle aziende locali.

“A chi ci ha aiutato a ricominciare a vivere – ha raccontato Domenico – donando anche solo un euro, va tutta la nostra gratitudine: saranno loro gli ospiti d’onore dell’inaugurazione”. La nuova impresa, che riaprirà la produzione a maggio del 2015, prevede un’organizzazione orizzontale: dal primo all’ultimo operaio-investitore, tutti saranno sullo stesso piano.

La storia del Birrificio Messina è un vero e proprio schiaffo a chi, in questi anni, si è adeguato al clima generale di rassegnazione, facendo del vittimismo uno strumento per giustificare i propri fallimenti: scommettendo su se stessi, i lavoratori si sono scrollati di dosso quel senso di impotenza che può rovinare la vita di intere famiglie, riprendendosi la dignità che spetta loro di diritto. Adesso, questi uomini coraggiosi, hanno un futuro a cui guardare.

 

Francesca Fiore: