Sabato Santo. La Chiesa sosta in silenzio accanto al Sepolcro di GesĆ¹, insieme a Maria, sua Madre, fedele alla volontĆ di Dio, nella sicura speranza dellāimminente Resurrezione del Salvatore. Tempo di riflessione, di meditazione. Silenzio e preghiera. Due elementi che hanno caratterizzato la vicenda personale di suor Nazarena Crotta, al secolo Julia. Una reclusa volontaria morta in fama di santitĆ nel 1990. Per 45 anni ha vissuto nella perfetta solitudine di una cella del monastero camaldolese di S. Antonio Abate, sullāAventino. Una storia straordinaria nella sua singolaritĆ che merita di essere conosciuta.
Una ragazza brillante
Julia Crotta era la settima figlia di Luigi e Maria Ramponi. Il padre era emigrato in America nel 1898 dalla provincia di Piacenza, lasciando in Italia la moglie e i primi cinque figli, due maschi e tre femmine che li raggiungeranno cinque anni piĆ¹ tardi. Negi Stati Uniti nasceranno altre due figlie: Julia, lāultima, il 15 ottobre 1907 nel Connecticut. Una bambina vivace, precoce. Durante lāultimo incontro con la famiglia, prima della partenza per Roma, la madre ricorderĆ che con suo grande stupore la vide camminare ad appena sette mesi. Julia aveva un carattere forte, quasi testardo, fin da piccola. Fisicamente prestante, atletica (giocava a basket), studentessa brillante (laurea ābachelor of artsā in letteratura inglese e francese, lingua che parlava benissimo), ottima suonatrice di pianoforte e violino, a Julia non mancava nulla per essere una donna di successo. Eppure, accadde lāimprevedibile. Apparentemente per caso, come spesso avviene quando Dio chiama.
La “nox beatissima”
Nel marzo 1934 Julia andĆ² dalla segretaria del college Albertus Magnus (dove si era trasferita da Yale) per chiedere un documento. La suora la invitĆ² a partecipare a un ritiro spirituale durante la Settimana Santa. Durante quegli esercizi, in quella che Julia chiamerĆ poi “nox beatissima”, ānotte beatissimaā, tra il VenerdƬ e il Sabato, mentre era sola nella cappella spoglia, con il tabernacolo vuoto, davanti al Crocifisso, ebbe la visione di GesĆ¹ che la chiamava: āVieni con me nel desertoā.
Un cammino difficile e la benedizione di Pio XII
Tra lāincomprensione dei padri spirituali, le difficoltĆ oggettive (in un primo momento aveva pensato di recarsi nel deserto della Palestina) e il passaggio in alcuni conventi, in particolare carmelitani, passeranno 11 anni prima che Julia riesca a mettere in pratica il suo desiderio di solitudine. Ma quella chiamata al ādesertoā non sarĆ mai cancellata dalla sua mente e dal suo cuore. Ottenuti finalmente i permessi necessari, fu ammessa come reclusa volontaria nel monastero camaldolese di S. Antonio. Il 21 novembre 1945 fu ricevuta in udienza da Pio XII, accompagnata da padre Giovanni Merli, il cappuccino che lāaveva seguita negli ultimi tempi a Roma insieme a don Giulio Penitenti. Padre Giovanni aveva redatto il primo regolamento di reclusione. Quando il Papa lo lesse, commentĆ² al frate: āNon le pare un poā rigido?ā. āNon lo ĆØ quanto lāavrei volutoā replicĆ² Julia. Pio XII, sorridendo, benedisse il foglio e disse āSe lo vuole cosƬ, lo prenda pure cosƬā. Riprendeva cosƬ una tradizione medievale che dal XIV secolo si era praticamente persa: si hanno testimonianze di eremiti (anche oggi ce ne sono diversi, ad esempio nelle vallate umbre) ma non di reclusi volontari.
Penitenza, preghiera e lavoro
Iniziava quello stesso giorno la reclusione di quella che ormai era suor Nazarena. Non uscirĆ piĆ¹ dalla sua cella di 3 metri per 5, in cui aveva solo uno sgabello per sedersi mentre lavorava o mangiava su un asse di legno che le serviva da tavolo; un armadietto in cui riponeva i libri di lettura spirituale; una statuetta della Madonna e una cassapanca su cui era inchiodata una croce che le serviva da letto, senza materasso nĆ© cuscino. Il regime alimentare era severissimo: solo pane e acqua e āun tantino dāolio, anche le domeniche, senzāaltroā cibo. Come scriverĆ in una delle numerose lettere, āDio solo sa il costo di ciĆ²: una fame continua, tormentosa. Piaccia a Lui che accettai per la salvezza di tante anime ora beate, nella beatitudine anzichĆ© tormentate nellāinfernoā. Vestiva solo di sacco, senza calze e con un paio di zoccoli. A questo aggiungeva penitenze rigorose. Ovviamente non poteva parlare con nessuno, se non col confessore attraverso una porticina velata. Se aveva necessitĆ di comunicare con le suore lo faceva attraverso bigliettini. Aveva rinunciato ad avere qualsiasi contatto, anche epistolare, con i suoi familiari. La maggior parte delle suore del convento vedranno il suo volto solo al momento della morte. Nella sua cella, suor Nazarena per tutto lāanno intrecciava le palme che venivano utilizzate in Vaticano nella Domenica di Passione e che rappresentavano la principale fonte di reddito del monastero. Tutti i Papi hanno chiesto le sue preghiere, che lei offriva con generositĆ . Suor Nazarena ĆØ morta il 7 febbraio 1990 a 82 anni.
Il silenzio del Sabato Santo
āQuello del recluso ĆØ il percorso del Sabato Santo ā spiega suor Michela Spera, camaldolese, che ha studiato a fondo la vita e gli scritti di Nazarena Crotta ā Il silenzio era per lei unāesigenza vitale. Nelle sue lettere non dice mai perchĆ© ma il silenzio ĆØ in tutti i successivi regolamenti da lei scritti. Silenzio e solitudine: voleva stare āsola con Dio soloāā. āSoltanto nella solitudine silenziosa mi sento felice, in pace, nel posto fatto per meā. Questo ĆØ stato il suo scopo: essere considerata morta per il mondo, āperdereā la propria vita per la salvezza di tante anime. Lo spiegava bene la stessa reclusa in una lettera del 1977 riportata in modo volutamente letterale e quindi con gli errori nel libro āNazarenaā di Thomas Matus: āLa mia vita sembra ā sƬ ā sterile, sprecata, egoistica agli occhi degli uomini che vedono solo le apparenze esterne (nel caso mio, tanto difettose); ma agli occhi di Dio che vede i miei desideri e [i miei] piccoli, perseveranti sforzi per fare tutto con amore fedele, generoso e fiducioso, chi sa ā chi sa! ā forse la mia povera vita nascosta, sterile e sprecata in apparenza ha aperto e apre le porte eterne a tante anime la cui vita fu trascorsa in stato di peccati mortali, appunto perchĆ©, ben consapevole che tutto [ciĆ²] che faccio ĆØ difettoso e merita di essere rigettato, io lo valorizzo e divinizzo unendolo – [mediante] una fede vivissimo, [una] speranza senza [confine] e [un] amore ardente ā al Sacrificio del Redentoreā.