Quasi 12 mila decessi, solo nel ristretto territorio coinvolto dell’Africa occidentale e, almeno allora, nessuna possibilità di difesa tramite vaccino: è stato questo il tragico dato rimasto impresso nella storia dopo la diffusione dell’epidemia di ebola, che ha colpito l’area atlantica del Continente nero nel periodo tra il 2013 e il 2016. Numeri sconvolgenti che, solo statisticamente, forniscono un’idea del dramma vissuto fra la popolazione degli Stati interessati, in particolare la Sierra Leone. Una sciagura di proporzioni tali da spingere scienziati e ricercatori a sviluppare programmi di studio appositi e approfonditi, per tentare di delinearne le cause e spiegarne una così rapida propagazione sul territorio. Parte dei in merito alla seconda questione, erano stati risolti nei mesi scorsi, quando ben due distinte indagini scientifiche, condotte parallelamente (pur non in collaborazione) da un’università statunitense e una britannica, avevano riscontrato una mutazione genetica del virus, la quale avrebbe enormemente favorito la diffusione del morbo fra gli esseri umani, proprio in virtù di una maggiore capacità di adattamento alle nostre cellule rispetto a quelle dei pipistrelli (ritenuti portatori naturali).
Le ricerche, tuttavia, una volta appurate le cause del rapido contagio, sono proseguite nella direzione salutistica, tentando di fornire un’adeguata misura preventiva in caso del ripresentarsi della pandemia. Da qui, l’iniziale sviluppo e la successiva sperimentazione di um vaccino, prodotto dalla casa farmaceutica canadese “Merck” e chiamato rVSV-Zebov, efficace al 100% e, a quanto sembra, privo di significativi effetti collaterali. Una grande notizia questa, in parte auspicata già un anno fa, quando vennero effettuate, con esito positivo, le prime somministrazioni del nuovo composto. Oggi, come testimoniano gli esiti dello studio, pubblicati sulla rivista scientifica “Lancet”, il vaccino è una realtà effettiva e, visti i risultati, funzionante. Tra il 2015 e il 2016, infatti, i test sono stati condotti su oltre 12 mila persone residenti in Guinea e Sierra Leone, con un sistema ad anello: questa particolare modalità, è consistita nel riscontrare dapprima i casi di ebola e, successivamente, vaccinare non solo il soggetto contagiato, ma anche i suoi più ristretti familiari.
In questo modo, sono stati coinvolti circa 117 gruppi di persone (con una media di 80 soggetti alla volta), con risultati eccezionali: tra i quasi 6 mila vaccinati, nessuno ha contratto il virus nei successivi 10 giorni. Secondo i ricercatori, nel corso di un’epidemia, potrebbe garantire una copertura dell’80-90%. Un passo importante, anche se resta da capire quale sia la durata effettiva di copertura del vaccino (specie per i bambini e le donne in stato di gravidanza) e quando avverrà la sua commercializzazione: “La protezione funziona poco dopo la vaccinazione, ma non sappiamo ancora se durerà nei sei mesi successivi”, ha spiegato Marie-Paule Kieny, direttrice generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, l’organo che ha curato la fase di sperimentazione assieme alle istituzioni locali. A ogni modo, in caso di nuove epidemie, una fornitura d’emergenza dovrebbe essere consentita. Di sicuro, i recenti risultati dello studio sulle forme di vaccinazione, lasciano la consapevolezza di avere, finalmente, un’efficace arma di difesa, probabilmente in grado di scongiurare nuove tragedie.